La Pulzella d’Orléans è la protagonista del teatro in musica italiano questo mese d’ottobre. “Giovanna d’Arco” di Giuseppe Verdi ha inaugurato, mercoledì sera, il festival dedicata al compositore e sarà in scena a Parma sino al 25 ottobre (prima di viaggiare altrove). “Giovanna d’Arco al Rogo” di Arthur Honneger su testo di Paul Claudel aprirà, il 12 ottobre, la stagione 2008-2009 dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Sono lavori profondamente differenti: intriso di tensione religiosa il secondo, garibaldino il primo.
Nell’opera verdiana, tratta da una tragedia di Schiller adattata da Temistocle Solera (fervente patriota risorgimentale), il dramma non è tra la missione sovrannaturale e la natura umana di Giovanna (come nel testo del poeta tedesco); siamo alle prese con una vicenda di passione amorosa (tra la fanciulla e il Re di Francia). Giovanna non muore sul rogo , ma combattendo come un’indiavolata eroina risorgimentale. E che fosse “indiavolata” ne era convinto (nel pessimo libretto) il padre Giacomo, il quale la consegna agli inglesi, prima di pentirsene amaramente, farla fuggire dal carcere e ridarla al campo di battaglia. Un po’ come “Angelica la pazza” di “Rinaldo in Campo” di Domenico Modugno. Oppure come un’Anita Garibaldi dell’iconografia dei testi per il liceo. La partitura verdiana rappresenta un passo indietro rispetto a “Nabucco” e “I Lombardi alla Prima Crociata”, le opere che la hanno preceduta. Ci sono, per, anticipi del “Macbeth” (i cori delle streghe) . Interessanti l’ouverture (ispirata al rossiniano “Tell” e piena di senso paesaggistico- la foresta, la grotta, la cattedrale di Reims), un paio di bei duetti d’amore, i cori. Un solo personaggio è scavato a fondo – teatralmente e musicalmente: il padre Giacomo, precursore di “Rigoletto”, di “Simon Boccanegra” e di Guido de Monfort (ne “I Vespri Siciliani”).
Raramente rappresentata, il Festival di Parma (che propone di mettere in scene tutte le opere di Verdi entro il 2013, bicentenario dalla nascita) ha comunque il merito di averne prodotto un’edizione accattivante grazie principalmente alla regia di Gabriele Lavia, alle scene di Alessandro Votti, ai costumi di Andrea Viotti e soprattutto alla concertazione di Bruno Bartoletti. Con un’ambientazione quattrocentesca ma tra quinte RISORGIMENTALI (ed ispirata alla pittura dell’Ottocento) ed una direzione d’orchestra serrata, riescono a dare unità drammaturgica e musicale ad un lavoro che poca ne ha. Interessanti i giochi di luci per contrassegnare le varie atmosfere in cui si svolge la vicenda e gli effetti speciali per le battaglie. Con mezzi relativamente modesti ma molte idee rendono questa “Giovanna” più credibile dell’ultima versione vista in Italia, a Bologna, circa 20 anni fa con la regia di Herzog.
Tra i protagonisti, giganteggia il settantenne Renato Bruson; anche se la voce non è più quella di un tempo, riempie la scena. Svetla Vassilleva è una Giovanna molto sexy (quasi adito un duetto d’amore), spinge troppo negli acuti (da curare nelle repliche) ma scende molto bene nelle tonalità gravi. Evan Bowers è un giovane tenore americano in ascesa; conosce l’impervia parte scritta per Re Carlo ma ha ancora strada da fare (ha evitato di poco una stecca). Ho, poi, un timbro brunito non da tenore lirico più donizzettiano che verdiano (come da partitura). Su piazza pare che non ci sia di meglio. Pubblico delle grandi occasioni. Generosi applausi a scena aperta a Bruson ed alla Vassilleva.
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