venerdì 24 ottobre 2008

SERVONO REGOLE PIU’ SEMPLICI PER LA NUOVA BRETTON WOODS Libero, 24 Ottobre

Il G20 (G8 allargato ai principali Paesi emergenti) in calendario nei pressi di Washington (si parla di Mount Vernon in Virginia) è l’inizio di un processo che porterà ad una nuova “Bretton Woods”, ossia di una conferenza internazionale che determini regole e strumenti per il superamento della crisi finanziaria in atto e , soprattutto, per il funzionamento dell’economia mondiale nei prossimo lustri? Sarà, quindi, analogo alla Conferenza di Savannah, dove si predispose l’ordine del giorno di quella di Bretton Woods?
. I commenti apparsi nelle interviste degli stessi proponenti della “nuova” Bretton Woods (ed ancor più negli editoriali di quotidiani e periodici) danno l’impressione che ci sta perdendo in un labirinto di banalità e che non si parta, quindi, con il piede giusto, e con le domande appropriate.
E’ banale sostenere che il mondo del 2008 non è come quello del 1944: non si tratta – ben lo sappiamo - di rimettere in sesto l’economia internazionale dopo una guerra mondiale e un trentennio di protezionismi, ma di fare fronte ad esigenze differenti da quelle di allora. Pure i protagonisti sono ovviamente cambiati. Occorre invece costruire un nuovo edificio per un mondo dove l’integrazione economica è molto forte (anche e soprattutto grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione) ma ci sono profondi squilibri (il principale è quello della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti) e sta ritornando, non solo in modo strisciante, il protezionismo.
Tuttavia, poco si è riflettuto su alcuni punti fondamentali, che banali non sono. In primo luogo, il sistema di Bretton Woods si basava su assunti validi per il mondo della ricostruzione ma non per quello della globalizzazione: nel 1944 la premessa era l’apertura progressiva del commercio internazionale da contemperare con una liberalizzazione più graduale dei movimenti di capitale e con la gestione collegiale dei tassi di cambio. Tale assunto non è più né valido né realistico. Su “Libero Mercato” abbiamo documentato il fallimento della Doha Development Agenda (Dda) per la liberalizzazione degli scambi commerciali ed, in parallelo, tanto la nascita di mercati comuni regionali quanto il proliferare d’accordi bilaterali. Al tempo stesso, è esplosa la libera circolazione dei capitali: su “Libero Mercato” del 18 ottobre abbiamo riportato le cifre strabilianti relative al solo mercato dei derivati. Ripensare gli assunti è il tema di fondo del saggio di Raghuram G. Rajan dell’Università di Chicago “The Future of the IMF and the World Bank” pubblicato negli atti dell’ultima conferenza scientifica dell’American Economic Association: poche pagine (pp.110-115) che sherpas e barracuda-esperti della nuova “Bretton Woods” dovrebbero meditare con attenzione. Dovrebbero anche leggere un lavoro interno del servizio studi della Bank of England (Bank of England Working Paper n. 349) su come continuare a pensare ad un Fondo monetario modellato su una cassa di risparmio (come lo è ancora) non giovi a nessuno e faccia più danni che altro.
Il saggio di Rajan include un punto non affatto banale: le istituzioni finanziarie internazionali devono lavorare all’unisono con Governi che possono non solo dare pareri molto validi ma sostenerli con meccanismi di controllo del rischio e di assicurazione. E’ un punto che porta a confutare un’altra banalità che si ascolta e si legge con frequenza: quella secondo cui la crisi sarebbe, in gran misura, il risultato di inadeguata regolazione, specialmente nel settore dei mutui edilizi. Occorre chiedersi se non sia stato invece il groviglio di regolazione – pochi comparti come quello dei mutui negli Usa sono soggetti a regolazione minuta al livello dei comuni, delle contee, dei singoli Stati dell’Unione e federale – a facilitare le elusioni e gli abusi. Il proverbio “il troppo stroppia” è quanto mai valido. Lo dice, tra l’altro, un lavoro dell’University of California, della Brown University e della Deutsche Bank (Nber Working Paper n. W13798): il sistema implicito in atto (chiamato colloquialmente Bretton Woods II) ha fatto da cinghia di trasmissione tramite il disavanzo dei conti Usa con il resto del mondo. Tale disavanzo, però, -rileva acutamente Paul Wachtel della Stern Business School della New York Università- ha di fatto preso il posto del nesso dollaro Usa-oro definito nel 1944 a Bretton Woods ; se non si individua un percorso per il riassetto degli squilibri, si rischia di annegare in una palude di banalità tale da aggravare le prospettive non migliorarle. All’International Regolatory Conference 2008 organizzata a Berlino dal 16 al 18 novembre (a cui sono stato invitato) mi auguro che questi punti siano fatti con forza. Ossia dalla nuova Bretton Woods deve uscire una regolazione più efficace, perchè più semplice ed una strada condivisa per il riassetto degli squilibri. L’Italia non può porsi come esempio perché, in materia di regolazione, ha molto da smantellare, da fondere e soprattutto da semplificare. Ha tanto, davvero tanto, da imparare.

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