VERSO UN SISTEMA PREVIDENZIALE ‘EUROPEO’
Giuseppe Pennisi
Si può rimettere mano al sistema
previdenziale tenendo specialmente in conto le esigenze delle giovani
generazioni? Il tema, centrale a questo seminario, è anche una chiave per la
sopravvivenza dell’unione monetaria e della stessa Unione Europea (UE). Infatti,
l’unione monetaria è stata concepita come un percorso a tappe obbligate per
giungere a quella che gli economisti chiamano un’‘area valutaria ottimale’, caratterizzata da effettiva mobilità dei fattori
di produzione (capitale e lavoro), oltre che di beni e servizi. Anche ove si
superassero difficoltà linguiste e culturali, tale effettiva mobilità è
impedita, per il lavoro, - ora che si sono superate quelli attinenti
strettamente al diritto del lavoro-- a
sistemi previdenziali profondamente differenti in termini di accesso, livello,
ed amministrazioni delle prestazioni (per non citare che gli aspetti più
salienti). Sono il frutto di percorsi storici e sistemi di sicurezza sociale
molto diversi. Esiste è vero una rete (o meglio una ragnatela od un labirinto)
di accordi bilaterali per le pensioni ‘statali’ o comunque pubbliche ed una
direttiva europea per facilitarne in attuazione. Tuttavia se un lavoratore
dell’UE in caso di difficoltà di occupazione , per la sua professione. in uno
Stato dell’UE e richiesta , invece, n altro, si spostasse dove c’è domanda
(come avviene , ad esempio, negli Stati Uniti) subirebbe molto probabilmente
una perdita secca (ed anche forte) in termini di tutela previdenziale. Quindi,
la sua mobilità verrebbe frenata. Con un costo, in termini di occupazione e
reddito per l’individuo e di produttività, per l’intera UE.
Come uscirne? Da circa dodici anni , la
strada è stata tracciata in una conferenza internazionale, organizzata dalla
Banca mondiale e dall’istituto di previdenza sociale svedese (nonché con folta
ed attiva partecipazione di esperti italiani), e tenuta nell’isola di Sandhamn,
nell’arcipelago baltico a circa un’ora di navigazione da Stoccolma.
Il percorso è quello di una graduale
convergenza dei vari Stati dell’UE verso quello che, in gergo tecnico viene
chiamato un sistema Notional Defined Contribution (NDC), in effetti un sistema
contributivo figurativo, modellato su quelli messi in atto da Italia e Svezia,
quasi contemporaneamente, pur se distintamente (e senza consultazioni o
coordinamento) nella primavera del 1995. E da allora adottato gradualmente da oltre
una ventina di Stati, tra cui gran parte dei nuovi aderenti all’UE.
I messaggio principali delle maggiori organizzazioni
è che , pure basate sullo NDC, le pensioni statali o comunque pubbliche solo
solamente una promessa che non potrà essere soddisfatta se il quadro economico
non migliora in misura significativo , sempre in balia di Governi e Parlamenti
che guardano a riforme delle pensioni anche (ove non principalmente) per ‘fare
cassa’.
Tale promessa, alle prese con un costante
‘rischio politico’, deve essere affiancata da fondi pensione anche essi
gradualmente europei, soggetti sì al ‘rischio finanziario’ ma se sufficienti
grandi e diversificati in grado di minimizzarlo, Cosa che non possono di fare i
700 lillipuziani fondi pensione nostrani, tra quelli di ‘vecchia’ e quelli di
nuova generazione. Per di più, tali fondi andrebbero incoraggiati fiscalmente
non penalizzati (come si è fatto di recente) per essere in linea con standard,
criteri e direttive europea (una seconda direttiva europea sulla previdenza
complementare è in avanzata fase di preparazione).
L’Italia è stato uno dei primi due Stati a
mettere in atto un sistema previdenziale NDC. Ha l’opportunità di avere un
ruolo importante nella costruzione di un sistema previdenziale NDC europeo se
effettua i correttivi necessari per incoraggiare la previdenza privata.
Ovviamente, tenendo, come avviene nel resto
del mondo, i conti previdenziali , pubblici o privati, BEN DISTINTI da spese
assistenziali per anziani non capienti- che per loro natura devono essere a carico
della collettività non di CONTRIBUTI alla previdenza per la tarda età.
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