Sui germogli di crescita già si addensano
nubi internazionali
Vale sempre la pena leggere le indicazioni dall’economia
internazionale al fine di formulare stime sulla ripresa europea e sulle
politiche economiche per incoraggiarla. Il primo indicatore riguarda il
commercio mondiale, specialmente per un Continente (e un Paese come l’Italia)
la cui crescita ha preso l’abitudine di essere al traino delle esportazioni.
L’ultimo Rapporto dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) afferma che
nel 2014 l’export mondiale è cresciuto appena del 2,8%. Per il 2015 si prevede
un +3,3%, stima già rivista però due volte al ribasso e comunque inferiore a
quanto necessario a fare da motore al Pil mondiale. Negli ultimi trent’anni il
Pil mondiale è di solito cresciuto a un tasso pari a due terzi quello del
commercio. Nel primo trimestre 2015 l’aumento del Pil mondiale ha riportato un
tasso annuo appena dell’1,2% a ragione in gran parte del rallentamento negli
Stati Uniti (di ieri la brusca frenata del Pil Usa), Cina e Giappone nonché
della stagnazione europea. La Fed di Atlanta ha pubblicato una stima ancora
meno incoraggiante: nel 2015 il Pil mondiale aumenterebbe meno dell’1% e già
adesso la crescita nel secondo trimestre sarebbe appena dello 0,7%. Nel
contempo, però, l’occupazione mondiale si sviluppa a un tasso dell’1,5% – più
veloce, dunque, di quello del Pil. C’è da stare allegri? Non proprio: la
differenza probabilmente rispecchia una contrazione della produttività. Così
come avvenne in Italia una diecina di anni fa, quando il tasso di
disoccupazione diminuiva e, dopo qualche tempo, ci si accorse di stagnazione e
riduzione della produttività. Questi dati possono suggerire che l’economia
mondiale è alla soglia di una nuova recessione, con insidie per chi – come
l’Italia – ne sta uscendo adesso. Possono anche voler dire che le misure
monetarie adottate negli Usa, in Europa e in Giappone stanno facendo sì che si
operi quasi a piena capacità: tra breve lo si dovrebbe avvertire nei mercati
del lavoro e ne risulterebbero aumenti delle retribuzioni e della domanda
interna (che sostituirebbe almeno in parte l’effetto commercio internazionale).
Dalle due interpretazioni derivano indicazioni di politica economica differenti
– puntare sull’export (anche nel nuovo programma tornaround appena varato dal
governo) oppure sulla domanda interna (riaprendo ad esempio la contrattazione
per il pubblico impiego, ferma da sei anni).
Giuseppe Pennisi
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