Ecco la politica industriale europea alla tedesca
11 - 05 - 2015Giuseppe Pennisi
Alcuni mesi fa, su Formiche.net, anticipammo che il presidente del
Consiglio Matteo Renzi stava progettando di trovare,
addirittura negli Usa della Silicon Valley e della Washington obamiana, spunti
per una politica industriale italiana ed europea. Non è un’idea balzana od
estemporanea.
L’Italia è un Paese a vocazione
manifatturiera per necessità: privo di materie prime, può solamente contare su
produzione industriale e mercato mondiale. Dall’inizio della crisi nel 2008,
abbiamo perso quasi il 25% del valore aggiunto industriale e in percentuale del
Pil la quota della nostra protezione industriale è passata dal 22% a poco più
del 15%, una proporzione analoga a quella della vicina Francia, che mantiene un
forte settore agricolo (sussidiato dal resto dell’Europa) ed il cui
manifatturiero è in gran misura militare.
Proprio in Francia sono stati
prodotti due importanti documenti, il Rapport Beffa del 2005 ed il Rapport
Gallois del 2012. Questi documenti, pur ponendo l’accento sulla competitività
dell’industria nazionale francese, contenevano proposte per una strategia
industriale europea. Il Rapport Beffa ha avuta una certa eco grazie a seminari
e dibattiti allora organizzati dalla Fondazione Ideazione (chiusa da anni). Il
Rapport Gallois è stato semplicemente ignorato nel nostro Paese.
In breve l’ultimo documento organico
di politica industriale italiano resta quello predisposto da Antonio Marzano
nel 2004, quando era ministro delle Attività produttive. Restò, però, una bozza
di documento a ragione anche del suo trasferimento al Cnel; se ne hanno echi
nel volume (recentemente pubblicato dal Cnel) che racchiude un’antologia dei
discorsi significativi dello stesso Marzano negli ultimi dieci anni.
L’argomento è tornato di attualità
con le proposte (ancora non formalizzate, ma serpeggianti nel Palazzo) di una
bad bank (per sofferenze bancarie in gran misura ad industrie decotte), della
trasformazione di Invitalia e della creazione di un nuovo ente ad hoc, per le
aziende in crisi, ossia un ospedale per gli sfigati tipo la Gepi di funesta
memoria. Tra carrozzoni e carrozzini per sciancati.
La “vulgata” corrente è che la
Repubblica federale tedesca si oppone all’idea stessa di politica industriale
europea ed a maggior di politiche industriali nazionali. E’ una vulgata che non
ha alcuneabase. In Germania, è vero, c’è una forte ripresa dell’ordoliberismo
(il liberismo delle regole, ma di regole che siano poche e semplici, non di
guazzabugli alla SviluppoItalia, Invitalia od alla Gepi) tanto che – come ha
sottolineato The Economist il 9 maggio – quattro dei cinque
componenti del Comitato dei consiglieri economici del governo federale hanno
matrici “ordoliberiste”.
Tuttavia, basta scorrere la
letteratura recente in materia (molto utili i saggi di Flavio Felice e
l’antologia di saggi “ordoliberisti” curata da Francesco Forte.
Utilissima anche la recente pubblicazione in italiano di produzione e
produttività di Friedrich A. von Hayek da parte dell’Istituto Bruno
Leoni) per toccare con mano come una politica industriale di mercato sia non
solo perfettamente compatibile con l’ordoliberismo tedesco ma sia stata attuata
con efficienza ed efficacia al fine, ad esempio, di ampliare (tramite incentivi
tributari) la dimensione media delle azione negli anni di preparazione
all’unione monetaria.
Io stesso, alla fine del primo
decennio questo XXI secolo, ebbi la fortuna di lavorare con economisti
tedeschi, nell’ambito di un programma della Konrad Adenauer Stiftung e della
Fondazione Fare Futuro, su questi temi; ne uscì una serie di volumetti pubblicati
da Rubbettino in tedesco ed in italiano che riguardano non solo argomenti
economici, ma possono essere utili a chi vuole affrontare queste tematiche.
Tanto più che la “economia sociale di mercato” di impronta “ordoliberista” è
alla base del Trattato di Lisbona sul futuro dell’Unione Europea.
Ho citato le agevolazioni tributarie
erga omnes ac omnia, quindi non distorsive della concorrenza, per giungere ad
un ampliamento delle dimensioni medie delle imprese tedesche (soprattutto
manifatturiere). A livello federale, è doveroso citare il programma definito
con i sindacati per la ristrutturazione della maggiore industria del Paese, la
Volkswagen. Soprattutto, però, l’azione incisiva è a livello dei Länder. Qui,
la politica partitica si tiene a mezzo passo di distanza: le strategie, a
livello dei singoli Länd, vengono attuate tramite la collaborazione tra
associazioni di datori di lavoro, sindacati, Landesbanken e Landeskasse.
I maligni dicono che questa è una
delle ragioni, ove non la fondamentale, per cui le Landesbanken e Landeskasse
sono sottratte alla vigilanza della Banca centrale europea (Bce). Se si fosse
meno affezionati alle proprie parrochiette (come le chiamava Alberto Sordi),
prima dare nuovi compiti a Invitalia o di creare nuovi alberghi ad ore per
aziende decotte, occorre chiedersi se dalle Landesbanken e Landeskasse non si
sarebbe potuta trarre qualche utile lezione per le nostre Banche Popolari e
Banche di Credito Cooperativo prima di muoversi su un sentiero che numerosi
esperti ritengono affrettato.
Il vostro chroniqueur non esprime
giudizio, I chroniqueur sono notoriamente ignoranti e pressappochisti.
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