OPERA/
Come Zubin Mehta risolve le ambiguità di "Fidelio"
Pubblicazione:
sabato 2 maggio 2015
Zubin Metha
(Infophoto)
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NEWS Musica
Fidelio
o l’amore coniugale di Ludwig van Beethoven ha inaugurato la stagione
2014-15 della Scala il 7 dicembre scorso e il 78simo Maggio Musicale Fiorentino
(MMF) il 27 aprile. Indicazione di poco coordinamento e di scarsa fantasia.
Delle traversie di questo MMF (tra scioperi, proteste e ripescaggio di un
allestimento vecchio e datato presentato in forma semi-scenica e senza luci) ho
trattato altrove. Quello che voglio ora sottolineare è come Zubin Mehta abbia
risolto le ambiguità dell’opera che Daniel Barenboim alla Scala aveva in parte
aggravato. E’ questo il vero aspetto positivo dell’inaugurazione del Maggio
Musicale Fiorentino.
Fidelio
– ricordo - è basata su una pièce à sauvatage (dramma teatrale con
finale lieto in quanto gli innocenti vengono salvati dell’inatteso arrivo dei
buoni loro alleati), genere consueto, specialmente in Francia, nel periodo tra
rivoluzione francese e il Direttorio. Racconta di Leonore che nella Spagna
settecentesca si traveste da ragazzo per farsi assumere come secondino dal
carceriere Rocco al fine di salvare il marito Florestano, preda di un crudele
signorotto di provincia, Pizzarro, di cui Florestano ha denunciato i
delitti. Le belle fattezze di Leonore-Fidelio attirano l’attenzione della
figlia di Rocco, Marzelline, facendone inalberare il fidanzato Jaquino.
Il
salvataggio arriva mentre Pizzarro sta per uccidere Florestano sia perché
Leonore estrae una pistola dal corsetto sia grazie al provvidenziale arrivo del
messo del Re. Vicenda banale – già messa in musica da altri prima che Beethoven
la prendesse come spunto per la sua opera per il teatro (ne aveva tentato
un’altra senza portarla a compimento).
Le
pièces à sauvatage erano genere consueto negli successivi alla
Rivoluzione Francese ed al Terrore. Si pensi alla bellissima Lodoïska di
Luigi Cherubini rappresentata in tempi recenti in Italia solamente a Ravenna
per insistenza di Riccardo Muti.
E’
un’opera ambigua sia per il genere scelto, il Singspiel in cui parti
cantate si alternano con numeri musicali (un genere tipico di commedie più che
di drammi come dimostrato dal fatto che fiorirà nella opéra-comique francese)
sia perché sempre in bilico tra la pièce di equivoci mozartiana (la
prima parte) sia dal grande lavoro epico ed etico (la seconda parte). Lo
spartiacque è la grande aria di Leonore Abscheulichee, wo elist du hin? nel
primo atto.
In
Scala, l’ambiguità è stata accentuata da una messa in scena di Deborah Warner
che poneva l’accento sulla vicenda d’amore, mentre Barenboim dava un andamento
lento e solenne alla concertazione.
Al
MMF carità di Patria ci induce a non parlare più della messa in scena (in DvD
dal 2006), ma Mehta ha trovato il modo giusto per affrontare gli aspetti
musicali. Non solo ha impiegato l’ouverture scritta da Beethoven per l’opera (e
non altre composizioni dell’autore), ma la prima parte(sino a Abscheulichee)
è stata concertata come una delle ultime opere mozartiane (ad esempio, Le
Nozze di Figaro); evidente specialmente nel quartetto Mir ist so
wunderbar e nell’aria quasi buffonesca di Rocco Hat man nicht auch Gold
beineben, nonché nel terzetto Gut, Sönchen gut.
Dall’arrivo di Pizzarro e soprattutto da Abscheulichee,
lo stile cambia: siamo in una grande opera drammatica tedesca del primo
romanticismo (viene immediatamente alla mente Weber). Altro cambiamento dopo
l’ouverture Leonore n.3 tra il primo ed il secondo quadro
del secondo atto (come voluto da Mahler , ma tagliato da Barenboim) ; il flusso
(e la coralità) è di un’opera eroica, o meglio di un’opera imperiale (come i
grandi lavori di Spontini dell’epoca – pensiamo a La Vestale che
proprio a Firenze in anni migliori del Maggio Musicale ebbe la sua riscoperta).
Una tripartizione, quindi, da Mozart a Spontini che risolve le ambiguità
di Fidelio . Davvero geniale e davvero meritate le ovazioni
al termine dell’esecuzione.
Ottimi, come sempre, orchestra e corto.
Nel cast spicca Ausrine Stundyte (una Leonore di altissimo livello
e con un volume da riempire il teatro) mentre avrei preferito un Florestano
(Burkhard Fritz) dal timbro più brunito e dagli acuti più eroici. Buoni gli
altri protagonisti (Eike Wilm Schulte, Evgeny Nikitin, Stephen Milling, Ann
Virovlansky, Karl Michael Ebner). Occorre dire che il Rocco di Stephen Milling
ha suscitato qualche perplessità nella prima parte, ma si è ben ripreso nella
seconda.
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