lunedì 18 maggio 2015

Pentecoste a Salisburgo in Tempi 17 maggio



Pentecoste a Salisburgo

maggio 17, 2015 Giuseppe Pennisi
Iphigénie en Tauride non si vede in Italia da quando Riccardo Muti la presentò per l’inaugurazione della stagione scaligera all’inizio degli Anni Novanta
hires-iphigenie_085OK“Quindi chiamerò gli Dei” . Questo è il motto che Cecilia Bartoli, dal 2012 direttore del Festival di Pentecoste di Salisburgo, ha scelte per le intense giornate (dal 22 al 25 maggio) in cui si terrà la manifestazione, meno nota in Italia del Festival estivo (che dura sei settimane) ma non per questo meno importante. Il programma contempla l’opera  Iphigénie en Tauride by Christobald. W. Gluck, alla Haus für Mozart, e Semele di Georg. F. Handel’ in versione da concerto; il balletto Midsummer Night’s Dream di John Neumeier; una “lettura” di Iphigenie auf Tauris di J. W. Goethe con Brigitte Hobmeier, Sven-Eric Bechtolf, Hans-Michael Rehberg, Michael Rotschopf e concerti vocali di Julian and Christoph Prégardien e Philippe Jaroussky; musica strumentale eseguita da Rolf Lislevand; rappresentazioni di A Midsummer Night’s Dream al Teatro della Marionette ed anche riprese di film.
Iphigénie en Tauride non si vede in Italia da quando Riccardo Muti la presentò per l’inaugurazione della stagione scaligera all’inizio degli Anni Novanta. Nella rappresentazioni del Festival di Pentecoste di Salisburgo, da considerarsi un anteprima poiché l’opera verrà riproposta al Festival Estivo, Cecilia Gasdia (in un ruolo in cui trionfò Maria Callas al Maggio Fiorentino del 1957) sarà affiancata da Christopher Maltman, Topi Lehtipuu, Michael Kraus e Rebeca Olvera. Diego Fasolis dirigerà I Barocchisti. La regia, le scene ed i costume sono firmati da Moshe Leiser and Patrice Caurier,
È un lavoro importantissimo. Nella storia della musica la «riforma gluckiana» è intesa generalmente come il tentativo di rinnovamento dell’opera seria italiana portato avanti, nella seconda metà del Settecento, dal compositore e dal librettista Ranieri dè Calzabigi con l’incoraggiamento ed il sostegno determinante del direttore generale degli spettacoli teatrali della Corte asburgica Conte Giacomo Durazzo. Come gli stessi autori indicheranno esplicitamente nella prefazione-dedica-manifesto dell’opera Alceste la riforma era diretta contro «tutti quegli abusi… che hanno per troppo tempo deformato l’opera italiana e reso ridicolo e seccante quello che era il più splendido degli spettacoli», e si proponeva «di ricondurre la musica al suo vero compito di servire la poesia per mezzo della sua espressione, e di seguire le situazioni dell’intreccio, senza interrompere l’azione o soffocarla sotto inutile superfluità di ornamenti». Parte dell’accademia musicale francese reagì alla riforma con una ripresa di quella che era stata chiamata La Querelle des Bouffons (1720-1754), innescata dalla tournée a Parigi di una compagnia italiana che portava opere in linguaggio semplice ed al di fuori dei generi canonici, come La Serva Padrona di Pergolesi. Lo spirito di queste «battaglie» – così venivano chiamate da circoli letterari e musicali – va però inquadrato nel contesto dell’Illuminismo e, quindi del ruolo della natura intesa come «ragione», «naturalezza», «logica», «verità». Nella riforma gluckiana, la poesia era vista come rivelazione della verità e non più come raffinato esercizio intellettuale, anche se il pubblico a cui ci si rivolgeva era ancora sostanzialmente colto, ma non più unicamente aristocratico. Sia Gluck sia Calzabigi sentivano la loro attività come un dovere nei confronti della cultura stessa e della società alla quale si rivolgevano. Non per nulla, Jean Jacques Rousseau, fervente sostenitori dei riformatori (poi diventati, in buona parte, rivoluzionari), scrisse di proprio pugno un’opera Le Devin du Village modellata su La Serva Padrona.
Trasferitosi in una Parigi in cui nei salotti e nei teatri era infuriata quella Querelle des Bouffons di cui c’erano ancora i postumi e si avvertivano già i prodromi di quella che sarebbe diventata la Rivoluzione del 1789, Gluck non solo adattò la propria riforma teatrale agli stilemi francesi, mantenendone i cardini: un nuovo rapporto tra aria e recitativo, un sistema per ridurre al minimo il contrasto tra pezzo «chiuso» e pezzo «aperto», l’enfasi sul carattere descrittivi della musica, una rinnovata veste in funzione drammatica dell’orchestra. Storici della musica quali Paolo Gallarati considerano Gluck come riconducibile al romanticismo in quanto ribelle ante literam. Penultima delle sue opere francesi Iphigénie en Tauride (1779) a cui i «tradizionalisti» contrapposero un’opera sullo stesso argomento e con libretto analogo (avevano ambedue le radici in Racine e Euripide) di Niccolò Piccinni (che ebbe modesto successo). Iphigénie en Tauride, è quella che più mostra il cambiamento tanto che nell’Ottocento divenne un cavallo di battaglia della grande cantante wagneriana Wilhelmine Schröder-Devrient e a fine secolo Richard Strauss in persona ne fece una «propria» trascrizione. L’elemento romantico non è solamente nella descrizione della ostile natura nella aspra terra dei feroci Tauri (ed il ricordo di quella, ben differente, dell’Ellade) ma nella figura della protagonista, con i suoi tormenti interni, il suo coraggio – una proto femminista che, si dice, affascinò all’epoca la Regina Maria Antonietta. Altro aspetto importante è la rapidità e concisione con cui evolve l’azione e la fluidità dell’azione musicale. Non per nulla, quando l’opera venne riproposta in Italia, al Maggio Musicale Fiorentino del 1957 (con Maria Callas come protagonista), la regia di Luchino Visconti e la concertazione di Nino Sonzogno le diedero un’impronta se non romantica almeno protoromantica.
È interessante raffrontare l’incisione dal vivo della Iphigénie Callas-Sonzogno-Visconti non tanto con la produzione concertata da Muti (con Carol Vaness come protagonista) ma con le tragédie lyrique francesi (spesso di autori italiani, ad esempio Ermione di Rossini) degli anni che precedettero ed in parte accompagnarono la Rivoluzione (quando si tagliavano le teste ma i teatri continuavano a funzionare) quanto con i canti rivoluzionari prodotti in due bei Cd dal Centre veneziano di musica romantica francese.
Gluck, stanco delle beghe parigine (principalmente in seguito a Iphigénie), tornò a Vienna dove morì nel 1787 (quindi prima delle date paradigmatiche della Rivoluzione ed ebbe, per sua richiesta, un grande funerale cattolico, non un Rito alla Dea Ragione). Aveva, però, seminato molti più germi della rivoluzione musicale di quanto non apparisse.
Alcuni suoi allievi (come Étienne Méhul), pochi decenni dopo Iphigénie ed in piena epoca napoleonica portarono il romanticismo al di là di presagi ed anticipazioni, trovando ispirazione, ad esempio per Uthal, in racconti ossianici con un’orchestrazione priva di violini proprio al fine di creare atmosfere dense di brume scozzesi.

Foto © Salzburger Festspiele / Monika Rittershaus

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