CRISI GRECIA/ Il "gioco delle tre carte" di Varoufakis per
evitare il fallimento
Pubblicazione: lunedì 18 maggio 2015
Yanis Varoufakis (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
Il ministro delle Finanze della
Repubblica Ellenica, Yanis Varoufakis, non solamente è rimasto alla guida della
delegazione greca nel confronto con “le istituzioni”, ma sta tentando una mossa
inconsueta e arditissima: fare il “gioco delle tre carte” nei giorni e nelle
ore che ci separano dalla prossima riunione del Consiglio della Banca centrale
europea (Bce) in calendario per il 20 maggio, senza, però, avere titolo a
essere lui a “passare” o “dare” le carte (come si dice in gergo) e quel che è
più sorprendente senza neanche avere il possesso fisico delle carte.
Gli è andata a buon fine una mossa
analoga (ma non così temeraria e così, diciamo la verità, convoluta ove non
cervellotica) quando il 12 maggio ha rimborsato 750 milioni di euro dovuti al
Fondo monetario con risorse che appartenevano al Fmi (irritando non solo
l’istituto finanziario con sede a Washington, ma anche le altre “istituzioni”).
Ma allora l’operazione, che numerosi esperti hanno considerato “truffaldina’,
era più semplice.
Occorre spiegare perché. Tutti gli
Stati che fanno parte del Fmi versano solamente il 10% della loro quota di
capitale al Fondo; il restante 90% appartiene, sotto il profilo scritturale e
giuridico, al Fmi ma resta nelle casse della banca centrale o del Tesoro
nazionale per ragioni di praticità (anche se il Fondo ha titolo di chiederne il
versamento in ogni momento). In pratica, la banca centrale o il Tesoro
nazionale sono unicamente la sede fisica dove il 90% della quota di capitale è
collocata, ma la somma appartiene al Fondo e deve essere in una delle valute
convertibili accettate dal Fmi. Prelevarne una parte per saldare un debito con
il Fondo è come ripagare un creditore con una somma che appartiene al creditore
medesimo. Dato che i soldi (euro, dollari, sterline o yen che siano) non hanno
fiocchetti (per individuare a chi appartengono), si sa che i 750 milioni
versati al Fondo erano di proprietà del Fondo solamente perché le casse della
Banca centrale greca erano vuote (tranne che le quote depositate presso di esse
in quanto capitale di istituzioni finanziarie internazionali).
Vale la pena sottolineare che, a
fronte di un’operazione di questa natura da giudicare almeno scorretta, e degli
insulti che Yanis Varoufakis rivolge a questo e quello (negli ultimi giorni uno
dei suoi bersagli preferiti è stato Mario Draghi, chiamato lacchè della
Cancelliera Angela Merkel), le “istituzioni” si sono comportate con grande
signorilità: il 14 maggio, all’assemblea della Banca europea per la
ricostruzione e lo sviluppo (Bers), è stata decisa una linea di credito di 500
milioni di euro l’anno sino al 2020 da destinare, però, non alle casse del
Tesoro o della Banca nazionale greca, ma al finanziamento di progetti
produttivi di imprese greche, soprattutto piccole e medie, sostenendo quindi
una ripresa della produzione già in corso - i venti maggiori istituti previsionali
internazionali stimano che nel 2015 l’indice della produzione industriale della
Grecia (dopo essere andato a picco negli anni scorsi) segnerà un aumento
del 5%.
A questo gesto di buona volontà e di
chiara simpatia nei confronti delle forze positive dell’Ellade, Yanis
Varoufakis ha risposto con una proposta convoluta, presentata il 14 maggio a
una conferenza internazionale sul futuro della Grecia organizzata ad Atene dal
settimanale The Economist. Riflettiamo sull’operazione,
scorretta o fraudolenta che dir si voglia, con il Fmi del 12 maggio. Allora
Varoufakis aveva le carte (essenziali per fare il gioco delle tre carte) in
quanto i fondi per appartenenti al Fmi erano in suo possesso (in quanto
detentore fiduciario). Quindi, la Grecia aveva le carte, anchee se non aveva
titolo a utilizzarle e ancora meno a “dare la mano”. La nuova proposta è quella
di fare uno swap quanto mai peculiare per rimborsare la Bce, guidata dal tanto
deprecato Mario Draghi, dato che i 6,7 miliardi di debiti della Grecia nei
confronti dell’istituto con sede a Francoforte scadono nel corso dell’estate.
Lo schema, convoluto come il
gioco Dungeons and Dragons, prevede, in estrema
sintesi, uno scambio tra obbligazioni che verrebbero emesse dal Tesoro greco
con le risorse del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), meglio noto
come Fondo salva-Stati. In effetti un’operazione analoga alla vendita di
Fontana di Trevi nel film Totòtruffa 62 di Camillo
Mastrocinque rimesso in circolazione dal quotidiano Il Sole 24
Ore con i DVD dei vecchi lavori del napoletanissimo Principe di
Bisanzio. In questo caso, non solo Atene non ha titolo a “dare le carte”, ma
non ha neanche in mero deposito fiduciario le carte.
La Grecia non ha controllo sulle
risorse dell’Efsf (di cui 30-40 miliardi sono dei contribuenti italiani - dieci
volte quanto serve a colmare il “buco annunciato” previdenziale frutto di una
misura da sempre considerala incostituzionale, non dai sentimenti “cinici e
bari” della Consulta). Atene non ha titolo a effettuare swapconsiderati “spazzatura”
dai mercati, anche se farebbero lucrare chi li detiene in caso di interventi
dell’Efsf e di altri strumenti che evitino il default e impediscano il
fallimento di un Paese che, come descritto in una corrispondenza da Atene del
16 maggio, sta andando a picco.
L’operazione farebbe lucrare i
soliti noti. Tra cui numerosi che si professano marxisti. Bevendo ouzo omazbout nei
tavolini della “città vecchia” di Atene.
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