Con la bella
Turandot l'Expo mette il turbo
di Giuseppe Pennisi
Con la Turandot di Giacomo Puccini messa
in scena per l'inaugurazione della stagione Expo, Il teatro alla Scala di
Milano ha dato il meglio di sé. Si è visto uno spettacolo innovativo e
affascinante, con un cast internazionale di altissimo livello, concertazione
intelligente e un finale (composto da Luciano Berio nel 2002) raramente
eseguito in Italia.
L'opera, che è in calendario fino al 23 maggio, ha visto impegnati il
regista Nikolaus Lehnhoff, lo scenografo Raimund Bauer e il designer delle luci
Duane Schuler, che hanno mostrato l'opera come un dramma espressionista.
L'impianto complessivo ricorda la secessione austriaca e il visivo tedesco di
quel periodo, cinema incluso (specialmente M di Fritz Lang). La scena è pensata
per facilitare le voci, mentre le luci creano un clima ossessivo con echi
freudiani. Riccardo Chailly mostra la convergenza di Puccini con l'innovazione
musicale degli anni Venti del secolo scorso: non solo Debussy ma anche
Schoenberg e l'allora giovanissimo Korngold. Vengono esaltati il cromatismo e
gli accenni alla atonalità. In questa lettura musicale ha un profondo
significato il finale di Berio perché mostra la continuità della musica europea
degli anni 20 con le innovazioni degli anni 80. Ottimo il cast vocale. Nina
Stemme ricorda un alto soprano svedese, Aleksandrs Antonenko imposta tutta la
parte sul registro di centro, come richiesto da Puccini, e non esagera con gli
acuti. Maria Agresta è una Liù drammatica e non il solito soprano lirico un po'
sdolcinato. Di alto livello gli altri, su tutti le tre maschere, e i cori.
(riproduzione riservata)
Nessun commento:
Posta un commento