Gli italiani hanno un asso nella manica
Aumentare la percentuale di laureati e giocarsi il futuro sulla forza
intellettuale
Se si leggono con cura le 280 pagine del
Rapporto Istat si nota un nesso poco trattato in documenti analoghi e nel
dibattito di politica economica: il link tra mercato del lavoro, proprietà
intellettuale ed istruzione. In primo luogo, in materia di indicatori salienti
del mercato del lavoro e proprietà intellettuale, l’Italia appare in posizione
asimmetrica rispetto al resto d’Europa. Il tasso di occupazione cresce (+0,2%
nel 2014) ma meno della media europea e si assesta al 55,7% di coloro in età da
lavoro (per raggiungere la media europea dovremmo avere tre milioni e mezzo di
occupati in più). Siamo tre punti percentuali in meno di quanto rilevato nel
2008. Pure asimmetrica la contrazione degli investimenti in prodotti della
proprietà intellettuale che caratterizza l’Italia (-1,5% tra il 2008 ed il
2014); nello stesso periodo, gli investimenti in ricerca e sviluppo (una
determinante degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale) sono
aumentati dell’11,8% nella media europea. Un dato importante soprattutto per la
scuola di pensiero secondo cui fantasia ed ingegnosità ci tireranno comunque
fuori dalla crisi. Senza investimenti in prodotti della proprietà
intellettuale, l’occupazione resta al palo (sotto questo profilo i due
indicatori sono simmetrici tra di loro, ma divergenti dal resto d’Europa).
Invece, il nesso tra occupazione ed istruzione,
dopo una fase di incertezza (in parte da collegarsi con l’introduzione ed il
rodaggio della nuova struttura – 3 + 2 – dell’istruzione di terzo livello),
torna ad essere simmetrico sia con il resto d’Europa sia con l’Italia del
passato. I lavoratori in possesso di laurea trovano un’occupazione più presto e
sono pagati di più (le donne il 28,9% in più, gli uomini il 67,9% in più) di
coloro con un diploma di scuola secondaria superiore. Ci sono naturalmente
differenze su base territoriale e professionale. In breve, ciò vuol dire che
studiare rende, e rende bene. Se dal generale si va al caso particolare dei
dottorati di ricerca (di norma, la categoria maggiormente connessa agli
investimenti in prodotti della proprietà intellettuale), il Rapporto ci dice
che a quattro anni dal conseguimento del dottorato, il 91,5% dei 'dottori' del
2010 e il 98% dei 'dottori' del 2008 sono occupati – oltre il 97% nelle aree
disciplinari di ingegneria e informatica, ma anche l’88,7% e l’87,6 nelle
discipline letterarie. Questi dati, da un lato, forniscono indirizzo su dove
deve andare l’istruzione ma, da un altro, confermano che l’Italia ha almeno un
ingrediente per migliorare la propria posizione in investimenti in proprietà
intellettuale per uscire dalla crisi. Gli altri due – la liquidità ed i
risultati operativi delle imprese – dipendono dalla Banca centrale europea e
dalle capacità degli imprenditori.
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