Tra Atene e Bruxelles inizia quel gioco delle parti di
cui Padoan è maestro
GIUSEPPE PENNISI
L’Italia non è interessata alla partita sul debito
greco soltanto perché dalla sua soluzione dipende, in buona parte, il futuro
dell’unione monetaria o per i crediti (circa 30 miliardi di euro, secondo
l’ultima conta) che vanta nei confronti della Repubblica Ellenica. Lo è anche
perché ha le carte per essere protagonista del negoziato che porti alla
soluzione.
Non tanto per il suo peso specifico nell’unione monetaria
o nel debito greco quanto perché – pochi lo sanno (ma Carlo Cottarelli,
rappresentante anche della Grecia al Fondo monetario internazionale, ne è ben
consapevole) – il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, è uno dei
massimi esperti di 'teoria dei giochi a più livelli'.
All’inizio degli Anni Ottanta, furono un libro ed
alcuni saggi di Padoan (scritti a quattro mani con Paolo Guerrieri, ora
senatore del Pd, entrambi professori alla Sapienza) a portare in Europa questa
teoria, che allora stava facendo i primi passi negli Usa. Padoan e Guerrieri ne
divennero 'capi scuola'. In sintesi, nell’eurozona è in corso in gioco a più
livelli in cui ciascuno dei partecipanti deve massimizzare obiettivi di
'reputazione' e di 'popolarità' differenti (e in certi casi divergenti) di
fronte alle altre parti in causa. Tutti devono mantenere una buona
'reputazione' rispetto agli altri soci dell’eurozona e presentarsi come
convinti assertori della moneta unica. In termini di 'popolarità', però,
ciascun partner risponde alla propria opinione pubblica. I 'falchi' devono
massimizzarla nei riguardi, ad esempio, di quel 73% di tedeschi che secondo gli
ultimi sondaggi sarebbero «stanchi e stufi» della Grecia. Le 'colombe', invece,
non possono non prendere l’affaire Grecia come strumento per andare verso
l’unione monetaria più flessibile chiesta da movimenti che risultano vincenti
alle elezioni. E la Grecia? Il governo, appena in carica, sa che la propria
'popolarità' dipende un elettorato 'arrabbiato' a cui occorre rispondere.
La teoria indica in sistemi di equazioni gli strumenti
per trovare la soluzione. Senza entrare in queste raffinatezze, appare chiaro
che, proprio come in un caso scuola di questa teoria, la partita è cominciata
con un 'gioco ad ultimatum' (quale quello tra Don Giovanni ed il Commendatore
nelle varie versioni del mito del burlador de Sevilla): sia i greci sia la Bce
sia altri hanno lanciato ultimatum. Tuttavia, a differenza del mito del
burlador, nessuno vuole che l’avversario soccomba ma hanno tutti interesse a
mantenere 'reputazione' all’interno dell’eurozona e 'popolarità' riguardo i
propri elettori. Una soluzione che possa soddisfare questi obiettivi del 'gioco
a più livelli' può consistere nell’allungamento delle scadenze del debito
greco, accompagnato dal denaro fresco per gli investimenti dal piano Juncker.
Ambedue le misure farebbero 'vincere' sia 'falchi' che 'colombe' in termini di
'reputazione' (avrebbero collegialmente salvato l’unione monetaria) ed anche in
termini di 'popolarità' di fronte ai loro elettori. I 'falchi' mostrerebbero
che sono relativamente poche le risorse Juncker dirottate verso la Grecia e che
comunque numerosi Stati dell’eurozona non hanno progetti cantierabili in misura
adeguata da assorbire le risorse disponibili. Le 'colombe' esulterebbero per la
'nuova flessibilità', da presentare come un pertugio per giungere alla golden
rule (cioè lo scomputo di investimenti pubblici dai calcoli per il Fiscal
Compact) . E il governo greco potrebbe dire di avare sconfitto la troika.
Tutti gabbati? Direbbe il Falstaff verdiano. Non
proprio: dal 'gioco a più livelli' ci sarebbero le basi per ripartire. Per
tutti.
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