La
Sala Santa Cecilia cambia musica
Una vera e propria rivoluzione (non affatto silenziosa) si è
verificata sabato 31 gennaio alla Sala Santa Cecilia: un concerto di musica
‘contemporanea’ nella prima parte e ‘moderna’ nella seconda, affollato in ogni
ordini di posti (circa 3000) principalmente da pubblico giovane.
Ricordo che quando nel 1990, l’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, i cui concerti allora avevano luogo all’Auditorium di Via della
Conciliazione, inaugurò la stagione con un capolavoro di Luciano Berio –
l’opera lirica in due atti La Vera Storia – dopo la prima parte quasi metà del
pubblico si sfilò, per disperdersi nelle trattorie di Borgo Pio e Borgo
Vittorio.
Il quadro è drasticamente cambiato. Roma è diventata la ‘capitale
europea della musica contemporanea’. Ma non sembra che al Collegio Romano (sede
del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali e del Turismo Farnesina (sede
del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) abbiano
metabolizzato come il comparto sia diventato un importante veicolo culturale
internazionale nonché uno strumento di rilievo per il ruolo dell’Italia
all’estero.
In termini puramente quantitativi, a Roma si eseguono almeno tante
ore di musica contemporanea quante a Berlino, e certamente più che a Parigi.
Soprattutto, l’offerta è più diversificata a Roma che altrove a ragione di
numerosi istituti di cultura ed accademie straniere, spesso nate per ospitare
studiosi di archeologia e storia ma che hanno aperto le porte, e le borse di
studio, a musicisti di tutto il mondo. Si svolgono numerosi festival (uno di
musica elettronica ed elettroacustica, molto frequentato da giapponesi, coreani
e cinesi, nella sala neoclassica del cinquecentesco conservatorio di Santa
Cecilia, tra Piazza del Popolo e Via Margutta).
C’è una ‘stagione’ ospitata in quella che fu la residenza di
Giacinto Scelsi, affacciata sul Palatino. Al Parco della Musica è in corso una
stagione ‘contemporanea’ anche dalla paludata Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, collaborazione con Musica per Roma: 12 appuntamenti tra cui l’opera
Spasimo (dal nome dell’antica santuario della Madonna dello Spasimo non
distante dal porto), un affresco della Palermo di oggi. La domanda è tale da
indurre l’Accademia ad uscire dai consueti binari di Beethoven e Brahms . Il
concerto inaugurale del festival di Nuova Consonanza il 12 novembre scorso è
iniziato in ritardo perché il pubblico al botteghino superava la capienza della
sala. Si potrebbe proseguire a lungo, ma concentriamoci sul concerto di sabato
31 gennaio.
Dirigeva Peter Eötvös, uno dei massimi compositori e direttori
d’orchestra ungherese di cui ci siamo occupati in corrispondenze da Aix en
Provence e da Montecarlo. E’ uno dei maggiori esponenti della musica
contemporanea: dopo essere fuggito dell’Ungheria comunista e dopo una tappa
(quasi obbligata) a Darmstadt, e dopo incarichi con la BBC ed altre prestigiose
orchestre, su invito di Pierre Boulez, ha assunto nel 1978, la guida
dell’Ensemble Intercoperain, E’ autore di importanti opere liriche (quali Trois
Seurs e La Balcon) e di un vasta catalogo di musica strumentale. La prima parte
del concerto è stata dedicata a Melodien di Györgi Ligeti (di cui alcuni anni
fa ascoltammo al Teatro dell’Opera Le Grand Macabre) – scomparso nel 2006
Ligeti è uno dei grandi maestri della musica contemporanea, nonché a Speaking
Drums composto nel 2012 da Eötvös.
Melodien (di appena 15 minuti) è il lavoro della svolta di Györgi
Ligeti. Abbandonato lo stile che lo ha reso celebre (imperniato su strutture
meccaniche o micro polifonie (alla Stockhausen), ritrova non solo la tonalità
ma l’eleganza secolare magiara, nonché linee melodiche compiute.
L’orchestra si è cimentata benissimo con una scrittura non certo
facile. Molto più complesso Speaking Drums un dialogo tra una venti cinquina di
percussioni ed un’orchestra prevalentemente d’archi. Il vero coup de théâtre è
il giovane percussionista salisburghese, Martin Grubigen che eseguisce quindici
strumenti alla volta, danza e salta sulle percussioni, con – chiamamolo
‘melologo’- caratterizzato da urla piene, pare, di doppi sensi (chi conosceva
lo slang tedesco) rideva di gruppo. Grubigen, affiancato dai percussionisti
dell’orchestra sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha quasi
schiacciato gli altri strumentisti. Grande divertimenti ed ovazioni più che
applausi.
La seconda parte conteneva i Three Places in New England di
Charles Ives , un poema sinfonico di circa cento anni fa. Un bel lavoro, poco
conosciuto dal pubblico, ed anche dall’orchestra che ha avuto qualche
sbandamento. Grande successo invece l’ultima sezione il notissimo An American
in Paris di George Gershwin, lavoro del 1928, che negli ultimi sessant’anni ha
avuto venti esecuzioni solo nei concerti dell’Accademia.
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