martedì 3 febbraio 2015

Perché è sbagliato festeggiare troppo per i primi barlumi di crescita in Formiche 2 febbraio



Perché è sbagliato festeggiare troppo per i primi barlumi di crescita
02 - 02 - 2015Giuseppe Pennisi Perché è sbagliato festeggiare troppo per i primi barlumi di crescita
Sabato 31 gennaio, il settimanale Milano Finanza dedicava la copertina ad una domanda: Sarà vera ripresa? Nel corpo della rivista, venivano sottolineati alcuni punti di forza (il cambio dell’euro con il dollaro, i bassi tassi d’interesse ed i corsi del petrolio). Al tempo stesso, gli economisti nell’intervista esprimevano dubbi e perplessità di varia natura. Tutti gufi anche nel giorno dell’elezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella?
Cerchiamo di esaminare i dati con un minimo di strumentazione analitica. Iniziamo dalla “creazione” di 100.000 posti di lavoro nell’arco di un mese. Anche se tecnicamente ‘a riposo’, ho la fortuna di interagire con numerosi giovani (da studenti ed ex-studenti ora direttori generali del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali). In gran misura non si tratta di ‘posti’ collegati a nuove attività produttive, ma di conversione di contratti da varie forme di collaborazione a rapporti di lavoro ‘a tutele crescenti’.
Un’ottima cosa per gli individui coinvolti ma poco più di un barlume di ripresa. La determinante principale è che grazie alle scelte dolorose fatte nel 2012 (con il Salva Italia) ci sia ancora molto da fare per rimettere in sesto l’economia del Paese: il tasso di disoccupazione è ancora oltre il 13% della forza lavoro (poco più del doppio di quello del 2008) ed il tasso di disoccupazione giovanile l’orrendo 40% della fascia d’età. Il vero e proprio labirinto che è diventata la ‘garanzia giovani’ e la mancanza di riforme strutturali dell’economia (da quella, piaccia o non piaccia, che porta il nome di Elsa Fornero) minaccia che i barlumi possano presto spegnersi.
Secondo l’Istat, nel 2015 alla crescita del Pil (che raggiungerebbe l’1%) contribuirebbe in misura rilevante la domanda interna al netto delle scorte (+0,9 punti percentuali) mentre il contributo della domanda estera netta (+0,1 punti percentuali) risulterebbe più contenuto che nel recente passato. Il contributo delle scorte risulterebbe nullo in entrambi gli anni.
Nel 2015 si prevede un ulteriore miglioramento con una crescita dei consumi delle famiglie pari allo 0,5%. La crescita della spesa delle famiglie è prevista raggiungere l’1% nel 2016. Il Crédit-Suisse ha pubblicato meno ottimistiche: si superebbe il capo della recessione ma la crescita resterebbe ad un pallido 0,5%. Se si prende la media dei 20 istituti, tutti privati nessuno italiano, che fanno parte del ‘gruppo del consensus’ si sarebbero sullo 0,7% sempre uno ‘zero virgola’ che può tornare negativo al minimo fruscio internazionale.
Il Crédit Suisse (e numerosi istituti del ‘gruppo del consensus’) sottolineano che mentre ci si attarda su un programma di riforme istituzionali (che numerosi stranieri, ed anche non pochi italiani, hanno difficoltà a comprendere) “urge ancora una deregulation di determinati settori e professioni per migliorare la competitività dell’Italia. Quindi prevediamo anche che le prospettive di crescita dell’Italia nel 2015 saranno meno brillanti rispetto ad altre importanti economie dell’Eurozona” (qui il testo integrale).
Quindi non si tratta unicamente di saper giocare bene il tris (cambio, tassi, petrolio) ma di dare vita a quel processo di riforme strutturali che sembrano interessare limitatamente Palazzo Chigi (assorbito dalle riforme istituzionali) e via Venti Settembre, i cui compiti sembrano limitati all’Ecofin, nel timore sempre presente di rimbrotti dall’Unione Europea.
Attenzione non c’è unicamente il tris. Il contesto internazionale (il declino della crescita Usa e di quella dell’Asia) non è favorevole. E quello dell’eurozona ancora meno. Il 31 gennaio il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta tra economisti americani ed europei: il bazooka della Bce (60 miliardi al mese di ‘misure monetarie non convenzionali’) minaccia di essere, se non proprio scarico, un moschetto della Grande Guerra ‘se i Governi non fanno la loro parte per migliore crescita di attività economiche e di produttività”.
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