Perché è sbagliato festeggiare troppo per i primi barlumi
di crescita
02 - 02 - 2015Giuseppe Pennisi
Sabato 31 gennaio, il settimanale Milano
Finanza dedicava la copertina ad una domanda: Sarà vera
ripresa? Nel corpo della rivista, venivano sottolineati alcuni
punti di forza (il cambio dell’euro con il dollaro, i bassi tassi d’interesse
ed i corsi del petrolio). Al tempo stesso, gli economisti nell’intervista
esprimevano dubbi e perplessità di varia natura. Tutti gufi anche
nel giorno dell’elezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella?
Cerchiamo di esaminare i dati con un minimo di
strumentazione analitica. Iniziamo dalla “creazione” di 100.000 posti di lavoro
nell’arco di un mese. Anche se tecnicamente ‘a riposo’, ho la fortuna di
interagire con numerosi giovani (da studenti ed ex-studenti ora direttori
generali del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali). In gran misura non
si tratta di ‘posti’ collegati a nuove attività produttive, ma di conversione
di contratti da varie forme di collaborazione a rapporti di lavoro ‘a tutele
crescenti’.
Un’ottima cosa per gli individui coinvolti ma poco più di un
barlume di ripresa. La determinante principale è che grazie alle scelte
dolorose fatte nel 2012 (con il Salva Italia) ci sia ancora molto
da fare per rimettere in sesto l’economia del Paese: il tasso di disoccupazione
è ancora oltre il 13% della forza lavoro (poco più del doppio di quello del
2008) ed il tasso di disoccupazione giovanile l’orrendo 40% della fascia d’età.
Il vero e proprio labirinto che è diventata la ‘garanzia giovani’ e la mancanza
di riforme strutturali dell’economia (da quella, piaccia o non piaccia, che porta
il nome di Elsa Fornero) minaccia che i barlumi possano presto spegnersi.
Secondo l’Istat, nel 2015 alla crescita del Pil (che
raggiungerebbe l’1%) contribuirebbe in misura rilevante la domanda interna al
netto delle scorte (+0,9 punti percentuali) mentre il contributo della domanda
estera netta (+0,1 punti percentuali) risulterebbe più contenuto che nel
recente passato. Il contributo delle scorte risulterebbe nullo in entrambi gli
anni.
Nel 2015 si prevede un ulteriore miglioramento con una
crescita dei consumi delle famiglie pari allo 0,5%. La crescita della spesa
delle famiglie è prevista raggiungere l’1% nel 2016. Il Crédit-Suisse ha
pubblicato meno ottimistiche: si superebbe il capo della recessione ma la
crescita resterebbe ad un pallido 0,5%. Se si prende la media dei 20 istituti,
tutti privati nessuno italiano, che fanno parte del ‘gruppo del consensus’ si
sarebbero sullo 0,7% sempre uno ‘zero virgola’ che può tornare negativo al
minimo fruscio internazionale.
Il Crédit Suisse (e numerosi istituti del ‘gruppo del
consensus’) sottolineano che mentre ci si attarda su un programma di
riforme istituzionali (che numerosi stranieri, ed anche non pochi italiani,
hanno difficoltà a comprendere) “urge ancora una deregulation di determinati
settori e professioni per migliorare la competitività dell’Italia. Quindi
prevediamo anche che le prospettive di crescita dell’Italia nel 2015 saranno
meno brillanti rispetto ad altre importanti economie dell’Eurozona” (qui il testo integrale).
Quindi non si tratta unicamente di saper giocare bene il
tris (cambio, tassi, petrolio) ma di dare vita a quel processo di riforme
strutturali che sembrano interessare limitatamente Palazzo Chigi (assorbito
dalle riforme istituzionali) e via Venti Settembre, i cui compiti sembrano
limitati all’Ecofin, nel timore sempre presente di rimbrotti dall’Unione
Europea.
Attenzione non c’è unicamente il tris. Il contesto
internazionale (il declino della crescita Usa e di quella dell’Asia) non è
favorevole. E quello dell’eurozona ancora meno. Il 31 gennaio il New
York Times ha pubblicato una lunga inchiesta tra economisti americani
ed europei: il bazooka della Bce (60 miliardi al mese di
‘misure monetarie non convenzionali’) minaccia di essere, se non proprio
scarico, un moschetto della Grande Guerra ‘se i Governi non fanno la loro
parte per migliore crescita di attività economiche e di produttività”.
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