Con “L’Incoronazione di Poppea”, in
scena a Milano fino al 27 febbraio, La Scala e l’Opéra di Parigi completano la
joint venture della trilogia monteverdiana affidata a Robert Wilson. È in primo
luogo teatro di regia. Quindi è su questi aspetti che ci soffermiamo, anche
perché dal punto di vista della filologia musicale…
L’Incoronazione di Poppea – regia di Bob Wilson – La
Scala, Milano 2015 – photo Andrea Messana-Opéra de Paris
LA REGIA DI WILSON
Bob Wilson colloca la vicenda de L’Incoronazione di Poppea in una scena continuamente cangiante, in cui il restringersi e l’allargarsi degli spazi segue la stringente concatenazione degli eventi. Il prologo si svolge in un atrium romano il cui muro è stato ricoperto dalle radici di un fico, simbolo di una natura che insidia le costruzioni della civiltà (il riferimento è anche alle radici del fico che coprono il muro del tempio di Angkor, in Cambogia, delle quali si dice che destino l’amore in chi le tocca). Il muro torna, libero e intatto, nella casa di Poppea: ma all’infittirsi dell’intrico delle passioni corrisponderà il moltiplicarsi degli alberi che via via sostituiranno le colonne come nella Betsabea al bagno del Veronese.
Il palazzo di Nerone è uno spazio aperto delimitato da colonne in cui l’irrequietezza dei sentimenti è rappresentata da un blocco di pietra incrinato. Si torna a spazi delimitati per la casa di Seneca, un atrio da cui s’intravede un albero le cui radici sono state strappate dal suolo. L’obelisco oggi sito in piazza San Pietro (un tempo circo di Nerone) campeggia nella scena successiva, che si svolge in una strada romana. Vedremo poi anche un enorme capitello proveniente dal foro romano. Lo spettacolo si conclude in una stilizzazione astratta della Domus Aurea. Ammantando le scene in luci dai sovrannaturali colori pastello.
Nella lettura di Wilson, L’Incoronazione di Poppea è un racconto che attraversa gli istinti peggiori dell’uomo ma si conclude con il trionfo di Amore. Lo spettacolo è una serie di tableaux molto belli e in cui la danza (o meglio, la pantomima) hanno un ruolo più importante della recitazione.
Bob Wilson colloca la vicenda de L’Incoronazione di Poppea in una scena continuamente cangiante, in cui il restringersi e l’allargarsi degli spazi segue la stringente concatenazione degli eventi. Il prologo si svolge in un atrium romano il cui muro è stato ricoperto dalle radici di un fico, simbolo di una natura che insidia le costruzioni della civiltà (il riferimento è anche alle radici del fico che coprono il muro del tempio di Angkor, in Cambogia, delle quali si dice che destino l’amore in chi le tocca). Il muro torna, libero e intatto, nella casa di Poppea: ma all’infittirsi dell’intrico delle passioni corrisponderà il moltiplicarsi degli alberi che via via sostituiranno le colonne come nella Betsabea al bagno del Veronese.
Il palazzo di Nerone è uno spazio aperto delimitato da colonne in cui l’irrequietezza dei sentimenti è rappresentata da un blocco di pietra incrinato. Si torna a spazi delimitati per la casa di Seneca, un atrio da cui s’intravede un albero le cui radici sono state strappate dal suolo. L’obelisco oggi sito in piazza San Pietro (un tempo circo di Nerone) campeggia nella scena successiva, che si svolge in una strada romana. Vedremo poi anche un enorme capitello proveniente dal foro romano. Lo spettacolo si conclude in una stilizzazione astratta della Domus Aurea. Ammantando le scene in luci dai sovrannaturali colori pastello.
Nella lettura di Wilson, L’Incoronazione di Poppea è un racconto che attraversa gli istinti peggiori dell’uomo ma si conclude con il trionfo di Amore. Lo spettacolo è una serie di tableaux molto belli e in cui la danza (o meglio, la pantomima) hanno un ruolo più importante della recitazione.
L’Incoronazione di Poppea – regia di Bob Wilson – La
Scala, Milano 2015 – photo Andrea Messana-Opéra de Paris
FILOLOGIA CREATIVA
Ha però una connessione unicamente visiva e labile con le intenzioni del quasi ottuagenario Claudio Monteverdi (Maestro di Cappella della Basilica di San Marco) e del gruppo di musicisti che lavoravano con lui (primo tra tutti Francesco Cavalli) e soprattutto con il libretto del 45enne Gian Francesco Busenello, avvocato d’affari nella Repubblica. All’epoca, a Venezia imperversava l’Inquisizione ma a teatro si poteva vedere di tutto: dai lavori esplicitamente erotici di Cavalli (si pensi a Elena, La Statira e, soprattutto, La Calisto) a un quadro spietato della conquista del potere (quale L’Incoronazione di Poppea).
Ha però una connessione unicamente visiva e labile con le intenzioni del quasi ottuagenario Claudio Monteverdi (Maestro di Cappella della Basilica di San Marco) e del gruppo di musicisti che lavoravano con lui (primo tra tutti Francesco Cavalli) e soprattutto con il libretto del 45enne Gian Francesco Busenello, avvocato d’affari nella Repubblica. All’epoca, a Venezia imperversava l’Inquisizione ma a teatro si poteva vedere di tutto: dai lavori esplicitamente erotici di Cavalli (si pensi a Elena, La Statira e, soprattutto, La Calisto) a un quadro spietato della conquista del potere (quale L’Incoronazione di Poppea).
LA STORIA E L’EROTISMO
In effetti, Monteverdi, Busenello e il resto della squadra presentavano per la prima volta nella storia del teatro musicale accadimenti storici e non mitologici, attingendo ai resoconti di Tacito e mettendo in scena personaggi reali, se pure con abbondanti licenze. Il racconto si dipana rapido tra sfrenate ambizioni, delitti e una sensualità che non conosce costanza o rimorso, ostentando un’indifferenza ai dettami della morale che desta stupore anche tenuto conto dei costumi della Venezia secentesca e delle correnti culturali libertine che animavano consessi quali l’Accademia degli Incogniti, di cui il Busenello faceva parte.
Il contesto è una Roma dove nessuno è senza peccato – lo stesso Seneca è un arrivista che cerca una soddisfazione postuma alla vanagloria che non riesce a soddisfare in vita –, intrigano tutti, principalmente tramite il sesso, per il potere: non solo Poppea, ma anche Ottavia, Ottone, Drusilla, le nutrici, i confidenti, i paggi e le donzelle. Il potere assoluto di Nerone viene scalfito dalla lussuria (c’è una scena vagamente bisex che nel Seicento doveva certo essere inconsueta a Venezia e a Napoli, le due città dove si sono trovati manoscritti dell’opera).
In effetti, Monteverdi, Busenello e il resto della squadra presentavano per la prima volta nella storia del teatro musicale accadimenti storici e non mitologici, attingendo ai resoconti di Tacito e mettendo in scena personaggi reali, se pure con abbondanti licenze. Il racconto si dipana rapido tra sfrenate ambizioni, delitti e una sensualità che non conosce costanza o rimorso, ostentando un’indifferenza ai dettami della morale che desta stupore anche tenuto conto dei costumi della Venezia secentesca e delle correnti culturali libertine che animavano consessi quali l’Accademia degli Incogniti, di cui il Busenello faceva parte.
Il contesto è una Roma dove nessuno è senza peccato – lo stesso Seneca è un arrivista che cerca una soddisfazione postuma alla vanagloria che non riesce a soddisfare in vita –, intrigano tutti, principalmente tramite il sesso, per il potere: non solo Poppea, ma anche Ottavia, Ottone, Drusilla, le nutrici, i confidenti, i paggi e le donzelle. Il potere assoluto di Nerone viene scalfito dalla lussuria (c’è una scena vagamente bisex che nel Seicento doveva certo essere inconsueta a Venezia e a Napoli, le due città dove si sono trovati manoscritti dell’opera).
L’Incoronazione di Poppea – regia di Bob Wilson – La
Scala, Milano 2015 – photo Andrea Messana-Opéra de Paris
La messa in scena è resa ancora più ardua dal fatto
che i due manoscritti esistenti, incompleti e talvolta contraddittori, mancano
di orchestrazione e che gran parte dei ruoli maschili erano affidati a
sopranisti, di solito castrati – una specie estinta da secoli. Quindi, o
abbassarli di qualche ottava e affidarli a tenori e baritoni, o farli cantare
da donne (rendendo ancora più complicati i problemi di un allestimento che
richiede scene erotiche). Wilson e Alessandrini optano per una contaminazione
tra i due manoscritti (con numerosi tagli) e affidano a un tenore il ruolo di
Nerone.
POPPEA ALL’OPERA: MINISTORIA
Di Poppee se ne viste di tutti i tipi. Da versioni belligeranti (ove non wagnerizzanti) supercensurate, quali quelle che circolavano nell’Italia degli Anni Sessanta, ad allestimenti rimaneggiati ma abbastanza espliciti – fece epoca quello degli Anni Settanta alla New York City Opera e alla Washington Opera con il giovaneAlan Titus (coperto solo da un cache sex) e la giunonica Carol Neblet (in allusivo see-through) – alla “porno opera” (la definì così uno degli economisti “verdi” italiani) messa in scena da Luc Bondy (con strumentazione elettronica e jazz) a Bruxelles e portata in giro per mezza Europa nella prima metà degli Anni Novanta ai 210 minuti di eros diffuso (frammisto a politics) creati daKlaus Micheal Gruber e Marc Minkowski ad Aix-en-Provence nel 1999 e ascoltati all’Opera di Vienna . Oppure ancora l’edizione, intrisa di eros, portata dall’Accademia Bizantina in vari teatri della Lombardia e dell’Emilia-Romagna con Anna Caterina Antonacci nel ruolo di Nerone. Probabilmente, la versione più attuale è quella presentata all’Opera di Oslo (e recensita su Artribune del 1° ottobre 2012) in cui la lotta politica ed erotica vengono mostrati con grande crudezza.
Sono letture molto distanti dall’eleganza raffinata ma asettica di Wilson che, tuttavia, è stata salutata con ovazioni la sera della prima alla Scala.
Di Poppee se ne viste di tutti i tipi. Da versioni belligeranti (ove non wagnerizzanti) supercensurate, quali quelle che circolavano nell’Italia degli Anni Sessanta, ad allestimenti rimaneggiati ma abbastanza espliciti – fece epoca quello degli Anni Settanta alla New York City Opera e alla Washington Opera con il giovaneAlan Titus (coperto solo da un cache sex) e la giunonica Carol Neblet (in allusivo see-through) – alla “porno opera” (la definì così uno degli economisti “verdi” italiani) messa in scena da Luc Bondy (con strumentazione elettronica e jazz) a Bruxelles e portata in giro per mezza Europa nella prima metà degli Anni Novanta ai 210 minuti di eros diffuso (frammisto a politics) creati daKlaus Micheal Gruber e Marc Minkowski ad Aix-en-Provence nel 1999 e ascoltati all’Opera di Vienna . Oppure ancora l’edizione, intrisa di eros, portata dall’Accademia Bizantina in vari teatri della Lombardia e dell’Emilia-Romagna con Anna Caterina Antonacci nel ruolo di Nerone. Probabilmente, la versione più attuale è quella presentata all’Opera di Oslo (e recensita su Artribune del 1° ottobre 2012) in cui la lotta politica ed erotica vengono mostrati con grande crudezza.
Sono letture molto distanti dall’eleganza raffinata ma asettica di Wilson che, tuttavia, è stata salutata con ovazioni la sera della prima alla Scala.
Giuseppe Pennisi
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