Ferrovie e
non solo, il discreto charme delle privatizzazioni
22 - 02 -
2015Giuseppe Pennisi
Nell’ultimo mese, una serie di articoli su Formiche.net
hanno cercato di fare il punto sulle privatizzazioni. E’ venuto il momento di
arrivare ad alcune conclusioni. Almeno per ora, la materia è in rapida
evoluzione e non è detto che non ci siamo svolte improvvise. In una direzione o
in un’altra.
Per tre lustri, redigo il capitolo sulle
privatizzazioni del Rapporto Annuale sulla Liberalizzazione della Società
Italiana pubblicato dall’editore Rubbettino. Mi sono gradualmente
convinto che in Italia le privatizzazioni hanno, come la borghesia del noto
film di Bunuel, uno ‘charme discreto’: affascinano tutti ma quanto si arriva al
dunque viene fatto molto meno di quanto sperato. Oppure – ancora peggio – si
nazionalizza più di quanto non si privatizzi.
A fine 2014, il più diffuso quotidiano italiano
dedicava tre pagine alle privatizzazione in programma per il 2015, iniziato da
poche settimane. Dimenticava, però, di dire che i Governi ed i Parlamenti
succedutesi dal 2011 hanno portato a termine unicamente la privatizzazione
dell’UNICI, l’unione degli ufficiali in congedo, in pratica un circolo
ricreativo. E’ stata, invero, portata in Borsa Fincantieri ma ha ottenuto
giusto i fondi (350 milioni) per sostenere il suo piano di sviluppo.
Cdp Reti – che ingloba le partecipazioni di controllo
di Terna e Snam già in portafoglio di Cdp – ha fruttato 2,1 miliardi con la
cessione del 35% alla State Grid of China, ma serviranno altri passaggi come un
dividendo straordinario per far tornare quelle risorse ai soci. Dopo molti
tentennamenti, ha varcato la porta di Palazzo Mezzanotte anche RaiWay,
essenzialmente però per rendere possibile una riduzione dei contributi pubblici
a quella Rai che, come si è visto nel primo di questi articoli, dovrebbe essere
“la madre di tutte le privatizzazioni”, secondo un documento dell’Osservatorio
Internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa,
organismo internazionale distinto e distante dalle nostre beghe.
Il Governo Renzi ha annunciato privatizzazioni per
11,2 miliardi all’anno fino al 2017, contro gli 8 miliardi fino al 2016,
contemplati dal Governo Letta. Tuttavia, oggi è ancora meno chiara di
dieci-quindici anni fa quella che gli economisti chiamano la funzione obiettivo
delle privatizzazioni: in che misura vengono invocate per ‘fare cassa’ ed
alleggerire il debito pubblico ed in che misura per rendere più efficiente il
sistema complessivo ed aumentare la produttività multifattoriale.
Allora la priorità della riduzione del debito pubblico
era chiara ed iscritta nella normativa, tanto che i proventi delle
privatizzazione venivano direttamente incanalati in un fondo speciale per
alleggerire il fardello del debito. Adesso, anche ove in tre anni si
privatizzasse per 33-34 miliardi, si scalfirebbe appena uno stock di debito
pubblico attorno a 2.200 miliardi. A maggior ragione, quindi, occorre essere
chiari sugli obiettivi. Altrimenti, lo charme discreto diventa come quella
catenine d’argento che si regalano per i Battesimi, “così fini, così fini –
diceva Petrolini – che non si vedono nemmeno”.
Inoltre, allo charme discreto delle privatizzazioni si
contrappongono mani pubbliche sempre più tentacolari. E’ di questi giorni il ritorno
alla grande del Tesoro come azionista del Monte dei Paschi di Siena. Aumentano
le voci di una bad bank pubblica per alloggiare (sulle spalle dei contribuenti)
le sofferenze di istituti di credito privati. E’ ormai scontato un intervento
pubblico “temporaneo” per l’Ilva. E’ in fase avanzata il progetto di un fondo
per l’ingresso anche esso ‘temporaneo’ nel capitale di aziende in crisi.
Lo “charme” rischia di diventare troppo discreto.
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