L’opera.
L’Orfeo di Gluck richiama a Palermo
i viaggiatori della lirica
GIUSEPPE PENNISI
PALERMO
Vale un viaggio a Palermo Orphée
et Eurydice di Christoph W. Gluck. Ha debuttato al Teatro Massimo con
un’anteprima di beneficenza il 18 febbraio e resterà in scena sino al 27 di
questo mese. Il mito di Orfeo ed Euridice è uno dei più antichi della storia
della poesia e della musica. Le versioni di Gluck sono quelle più
rappresentate. Occorre utilizzare il plurale perché ce ne sono almeno tre.
Quella in italiano, con libretto di Ranieri de Calzabigi, messa in scena nel
1762 a Vienna, viene considerata come l’inizio di una vera e propria
rivoluzione del teatro in musica (in quanto asciutta, essenziale e fortemente
drammatica grazie alla fusione di tutti i mezzi espressivi al servizio della
verità scenica). Nel 1774, il lavoro venne adattato per Parigi (con il libretto
tradotto da Pierre-Louis Moline) e con poche modifiche per venire incontro al
gusto francese (segnatamente un maggior spazio alla danza). C’è, poi, una
versione curata nel 1859 da Hector Berlioz, adattando l’opera al romanticismo
del Secondo Impero, e prendendo non solo le due partiture precedenti ma anche
altri lavori di Gluck, modificando la scrittura orchestrale per un più vasto
organico, ponendo un coro più ampio e dando un ancora maggior ruolo al balletto
(si era all’epoca del grand opéra). Questa versione “riveduta e corretta” da
Berlioz è in scena a Palermo in co-produzione con i teatri di Marsiglia e St.
Etienne. In Italia è una vera rarità; per questa ragione musicologi e melomani
si recano, in questi giorni, al Teatro Massimo. Seguendo Berlioz,
l’allestimento del regista e coreografo Frédéric Flamand, con le scene e i
costumi di Hans Op de Beek, porta in una periferia di una grande città ai
giorni d’oggi, ossia una banlieue, ma prossima alla campagna. Sempre
seguendo Berlioz, il ruolo del protagonista non è affidato a un contro-tenore
(come nella versione di Parigi) ma a un mezzo-soprano: Marianna Pizzolato
svolge molto bene la parte. Euridice è Mariangela Sicilia, dolcissima. Aurora
Fagiolo si disbriga bene nella parte di Amore. Di grande rilievo il corpo di
ballo con una brillante Valentina Pace. La concertazione di Giuseppe Grazioli
non coglie a pieno il tormento e l’impeto che Berlioz riversa in Gluck. Ottima
la prova del coro guidato da Piero Monti.
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