Privatizzare le Poste conviene?
Il miglior elogio del servizio postale pubblico è un film del 1939
Mr. Smith goes ro
Washington. Firmato da Frank
Capra e con tre grandi nomi del cinema internazionale
dell’epoca – James
Stewart, Jeane
Arthur e Claude
Rains -, il film racconta come un ‘uomo della strada’ (un
Signor Rossi qualsiasi) diventi deputato e una volta a Capitol Hill ne scopra
di cotte e di crude. Con l’aiuto dei boy scouts del suo collegio elettorale,
riesce a raccogliere prove di corruzione ed anche di legami con il crimine
organizzato tra i suoi più ‘esperti’ colleghi deputati. Ma codesti, riescono a
farle sparire. Tanto che ‘Mr. Smith’ sta per essere censurato ed anche
condannato. Ma al momento del verdetto lo US Postal Service (che è sempre puntuale
e che non sbaglia mai) arriva, tramite un postino, con una vera e propria
valanga di plichi contenenti le prove. I ‘buoni’, ed i boy scouts (nelle
gallerie del pubblico per seguire la vicenda), esultano! Gli spettatori si
commuovono.
Non credo che si possa contare sull’efficienza di Poste Italiane
spa totalitaria del Tesoro come dell’US Postal Service ai tempi di Frank Capra.
Abito a pochi passi da uno dei maggiori uffici postali di Roma – quello di
Viale Mazzini – e la posta viene recapitata mediamente ogni tre giorni. In
gennaio, le cassette sono rimaste quasi vuote per due settimane. Ovviamente,
venivano riempite da chi non si serve di Poste Italiane ma di corrieri privati:
intermediari finanziari, stampa quotidiana e settimanale, enti privati (e pubblici)
per l’invio di bollette di pagamento e via discorrendo. Sembra di essere
tornati al Settecento quando il servizio postale era essenzialmente un’attività
privata. Se ci reca nel grande ufficio di Viale Mazzini, ci si accorge in un
batter d’occhio che unicamente un paio di sportelli sono dedicati al servizio
postale. Infatti, c’è di tutto: da servizi finanziari a vendita di articoli di
consumo. Ciò perché, quando è stata varata la riformava normativa che rendeva
Poste Italiana una SpA, non sono state inserite clausole rigorose di
unbundling, ossia di ‘spacchettamento’ funzionale e contabile tra le varie
attività. Se si studiano le delibere dell’Autorità per il Gas e l’Energia ci si
accorge che numerose riguardano, nei settori di pertinenza dell’istituzione,
proprio l’umbundling.
Oggi comunque non siamo più nel 1939. Lo stesso Governo degli
Stati ha costituito, nel 2002, Presidential Commission on the US Postal
Service. Per un’analisi approfondita dei lavori, che non hanno ancora portato
alla privatizzazione del servizio a ragione dell’opposizione dell’opinione
pubblica, si suggerisce The
Future of the Postal Monopoly: American and European Perspectives After the
Presidential Commission di Damien Geraldin di George Mason
University e di J. Gregory Sidak di Criterion Economics, N. 2 2005, aggiornato
nel 2014. Il lavoro documenta che non si privatizza il servizio postale per
‘fare cassa’ ma per migliorare efficienza ed efficacia; contiene a riguardo
utili indicazioni su come effettuare tali miglioramenti anche in regime di
monopolio statuale. Tanto più essenziale in quanto lo US Postal Service ha
accumulato oltre 40 miliardi di perdite dal 2006 a oggi e prevede che il rosso
annuale supererà i 18 miliardi entro il 2015.
Sotto il profilo strettamente finanziario, gli esiti sono molto
misti. Ad esempio, la privatizzazione delle poste inglesi è costata ai
contribuenti quasi un miliardo di euro. E anche in Olanda il bilancio di una
operazione analoga è, per il momento, negativo. Al contrario le esperienze
della Germania, e in parte del Belgio, lasciano ben sperare.
Nel Regno Unito, perplessità sorgono spontanee dopo l’allarme
dalla Corte dei Conti britannica a cui pare ci si sia voluti sbarazzare della
Royal Mail con eccessiva fretta nell’ottobre del 2013. L’errore di fondo del
Governo britannico è stata la quotazione iniziale mirata a creare una compagine
a capitale diffuso, favorendo però coloro che fecero balzare il titolo del 38%
nel primo giorno della quotazione. Il prezzo era tanto sottovalutato che la
domanda fu 23 volte più alta dell’offerta. Criticassimo il ruolo degli advisor,
pur tutto nel Gotha della finanza (Lazard, Goldman Sachs, Barclays e Ubs). Il
Governo di Londra respinge le critiche e difende a spada tratta la
privatizzazione, riportando l’esempio dei “successi” di Belgio e Germania. Nel
caso di Bruxelles, il governo belga ha venduto nel 2006 alle poste danesi e al
fondo di private equity Cvc Capital Partners poco meno del 50% del servizio
postale per 300 milioni di euro. Il risultato, è arrivato subito dopo la
parziale privatizzazione: il gruppo è tornato in utile e ora ha un margine di
profitto del 17 per cento.
Per quanto riguarda la Repubblica Federale, la privatizzazione del
servizio postale è ritenuta un vero successo internazionale. A differenza del
caso inglese, infatti, il titolo di Deutsche Post, che nel primo giorno di
contrattazione ha guadagnato soltanto l’1%, ha registrato acquisti in graduale
crescita e il valore di mercato della società è salita dai 23,05 miliardi del
2000 agli attuali oltre 32 miliardi. I sostenitori della privatizzazione del
gruppo tedesco sottolineano inoltre l’impennata del fatturato, arrivato a 55
miliardi nel 2013 dai 22,3 miliardi del 1999. L’operazione, secondo un report
diffuso nel 2011 dall’organizzazione di ricerca canadese Montreal Economic
Institute sui servizi postali in Europa, ha avuto un impatto positivo anche sui
prezzi dei francobolli tedeschi, scesi del 17%. Anche se l’andamento dei conti
di Deutsche Post dipende più da attività collaterali che dal recapito di
lettere e pacchi. Da quando è stato privatizzato, Deutsche Post ha comprato
sette società del settore postale in tutto il mondo, ha fondato un portale di
shopping online e ha acquisito una partecipazione in un’azienda di e-commerce
tedesca oltre che in diverse società estere attive in vari settori. Più che
raddoppiando la parte del fatturato generato da attività estranee a quella
postale. Ma con paletti seri. Vere e propria mura – in materia di unbundling.
Decisamente controversa è stata la privatizzazione delle poste
olandesi,effettuata nel 1989. Ha portato alla chiusura del 90% degli uffici
postali. Ora nei Paesi Bassi esistono quattro diverse compagnie (PostNL, Sandd,
Selekt e Netwerk vsp) che consegnano la posta in orari diversi e a prezzi
differenti. A beneficiare della maggiore concorrenza, sono soprattutto le
imprese con volumi di spedizione maggiori.
E’ a queste esperienze che occorre guardare. E’ altamente
probabile che nel 2005 si dovrebbe concretizzare la IPO di Poste Italiane SpA.
Non è al risultato finanziario che occorre badare – le stime sono tra 4 e 10
miliardi di euro, a seconda che si metta sul mercato una quota od il tutto.
Nell’un caso o nell’altro, è un’inizia a fronte dell’Himalaya del debito
pubblico. Tutto dipende da come la privatizzazione verrà utilizzata per
migliorare efficienza ed efficacia. Il rapporto Sinossi 2014 presentato il 3
febbraio 2015 da Teleborsa, un portale specializzato, traccia un quadro
incoraggiante, specialmente dei cambiamenti effettuati al vertice per agevolare
il collocamento sul mercato.
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