MA COSA E’
QUESTA ‘AUSTERITA’
Giuseppe Pennisi
I successi
elettorali dei movimenti, se non apertamente anti-europei, quanto meno contrari
alle specifiche assunte da politiche, strategie, programmi e misure adottate
nell’unione monetarie impongono si approfondire cosa si intenda con austerità , vocabolo centrale nel
lessico dei dibattiti di politica economica europei e nazionali in corso in
questi giorni. E’ facilmente intuibile che uno degli esiti sarà una differente
declinazione del termine austerità-
In questo
approfondimento, possono essere di grande aiuto i saggi sul tema prodotti nella
letteratura economica. Ma occorre fare attenzione. Il tema dell’austerità è diventato merce di largo
consumo tanto nel mondo accademico quanto nella pubblicistica giornalistica. Ha
prodotto una vera e propria piccola industria che sforna paper, libri, articoli
come se fossero hamburger ; occorre distinguere con cura tra quelli che dicono
qualcosa di nuovo , basato su vera ricerca, e quelli che scopiazzano i lavori
di chi ha pubblicato appena prima di loro. O , peggio ancora, si rivolgono al
Prof. Google.
Tra i 150 saggi
sull’argomento usciti nell’ultimo mese, tre sono parsi di interesse per i
lettori di Formiche Il primo è un lavoro preparato per l’Economic Policy
Panel dell’EIEF (Einaudi Institute of Economics and Finance) tenuto a Roma a
fine 2014 ed i cui atti saranno pubblicati tra qualche mese. E’ uno studio
collettaneo di Alberto Alesina,
Francesco Giavanni e Matteo Paradisi, con la collaborazione di uno
stuolo di loro ricercatori. Definita austerity
essenzialmente come ‘consolidamento fiscale’ (riduzione della spesa ed
aumento dell’imposizione tributaria per ridurre deficit ed , indi, debito) , il
lavoro analizza, con una strumentazione quantitative, se il ‘consolidamento’
effettuato a partire dal 2009 nell’eurozona ha avuto effetti recessivi
sull’eurozona. Le conclusioni sono due :a) gli effetti ci sono stati ma non
superiori a quelli quantizzati in altri casi di ‘consolidamento’; b) le
implicazioni su produzione ed occupazione sarebbero state notevolmente
inferiori a quelle effettivamente computate se si fosse agito sul lato della
spesa (riducendola) piuttosto che su quello delle entrate (aumentandole).
Harris Dellas e
Dirk Niepelt ambedue della Università di Berna partono da una differente
accezione del termine austerity – la
riduzione dei consumi dai livelli desiderati causata dalla capacità di servizio
del debito. In tal modo, austerity diventa
essenzialmente uno strumento per ottenere dal mercato migliori condizioni
finanziarie (e per il rimborso del debito e per avere fresh money , nuovi finanziamenti). E’ un segnale, quindi, per conquistare
credibilità o per migliorare quella che già si ha. Ha funzionato nell’attuale
crisi dell’eurozona? Per Dellas e Niepelt è un segnale ‘costoso’, aggettivo
qualificativo eloquente.
Mollo interessante
il saggio, rivolto specificatamente, ai Paesi dell’Europa centrale, orientale e
meridionale pubblicato sul Journal of
Economics and Business dell’Università di Rijka , in Croazia, e firmato da
Anita Čeh Časni , Ana Andabaka Badurina, e Martina Basarac . L’analisi utilizza
una batteria di indicatori per il periodo 2000-2011. Il concetto di austerity è strettamente collegato a
quello di incidenza del debito pubblico sul Pil, L’esito dei vari tests
effettuata nell’università croata è che occorre incidere sulla causa non sui
suoi esiti. Le proposte sono che una politica ‘credibile’ di ‘consolidamento
fiscale’ deve essere coniugata con politiche che favoriscano crescita ‘duratura
di lungo periodo ’ , quali ‘promuovere lo sviluppo industriale, incoraggiare la
crescita e creare un clima per attrarre e favorire investimenti’, unitamente a
‘programmi di riduzione del debito’.
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