Ferrovie dello Stato, evitiamo privatizzazioni alla Telecom Italia?
16 - 02 - 2015Giuseppe Pennisi
Può sembrare singolare trattare della privatizzazione
delle ferrovie in Italia in giornate in cui tutte le opposizioni
hanno lasciato le aule parlamentari, il Governo mostra i muscoli per celare
un’obiettiva debolezza e le forze politiche danno l’impressione, in Italia ed
all’estero (basta sfogliare le principali testate straniere), di essere senza
bussola o con bussole cangianti.Tuttavia, è paradossalmente opportuno farlo non solo perché il Governo oggi in carica ha annunciato, indirettamente tramite il cosiddetto ‘decreto mille proroghe’ che la privatizzazione (se avverrà) inizierà nel 2016 (non più nel 2015 come previsto negli ultimi mesi del 2014) ma proprio perché la ‘denazionalizzazione’ delle ferrovie richiedere un disegno di lungo periodo a prescindere – avrebbe detto Totò – dai Governi in carica e dalla congiuntura economica.
Il termine “denazionalizzazione” è, a mio avviso, più appropriato di “privatizzazione” poiché in Italia, come altrove (nella stessa Russia zarista), le ferrovie nascono, nell’Ottocento, per iniziativa privata (e quindi con il vincolo di essere redditizie sotto il profilo finanziario). In numerosi Paesi europei sono state “nazionalizzate” principalmente in quanto i gestori (e gli azionisti) della seconda e terza generazione non sono stati all’altezza di operare sistemi sempre più complessi ed offrire servizi remunerativi in tratta a bassa densità di popolazione o basso reddito (oppure in cui le due determinanti si cumulavano) ed, infine, a ragione delle requisizioni per il trasporto di truppe in periodi di guerra (fondamentale fu l’esperienza del conflitto franco-prussiano nel 1870). In altri continenti (soprattutto in Asia ma non mancano esempi nell’Emisfero Occidentale) non mancano esempi in cui operano ferrovie sia statali sia private, non necessariamente in concorrenza ma con obiettivi e tipologie di servizio differenti.
Oggi in Italia, le Ferrovie dello Stato Spa è una società di proprietà interamente del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Impiega 83.000 ferrovieri, più di 9mila treni e gestisce una rete di oltre 16.600 chilometri su cui viaggiano ogni anno 600 milioni di persone e 50 milioni di tonnellate di merci. Ferrovie dello Stato Spa è attivo anche con il sistema Alta Velocità Fs. Questi pochi dati sono indicativi della complessità di un sistema nato con project financing per il tratto Napoli-Portici definito nel 1836 ed in funzione dal 1839 nel Regno delle Due Sicilie, allora considerato arretrato economicamente, socialmente e politicamente.
Le Ferrovie dello Stato sono state istituite con la legge n. 137 del 22 aprile 1905 assumendo a totale carico dello Stato la proprietà e l’esercizio della maggior parte delle linee ferroviarie nazionali, fino ad allora in mano a varie società private, operanti in gran misura sulla base di ‘concessioni’ che definivano prestazioni di servizio e tariffe. Nel 2001 è avvenuta la trasformazione di Ferrovie dello Stato Spa in Rete Ferroviaria Italiana Spa. La holding viene ricostituita sulla base di Ferrovie dello Stato Holding Srl, creata da Fs Spa e poi ceduta al Ministero del Tesoro. Contemporaneamente, all’interno di Ferrovie dello Stato Spa è nata Trenitalia Spa (già Italiana Trasporti Ferroviari Spa), ceduta poi a Ferrovie dello Stato Holding Srl. Nel 2001 Ferrovie dello Stato Holding Srl è diventata Ferrovie dello Stato Spa. Quindi, un percorso organizzativo complesso anche se si guarda solamente agli ultimi tempi.
Nel giorno del debutto in Borsa di Rai Way, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro con l’obiettivo di “predisporre tutte le misure necessarie all’apertura del capitale di Fs e alla sua quotazione in Borsa. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan ha auspicato che “l’approdo delle Ferrovie sul mercato avvenga in tempi rapidi. E’ una importante occasione per valorizzare un’azienda che ha dimostrato di essere motore di modernizzazione del Paese”. Il Ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha sottolineato che “la collocazione di Fs sul mercato è il riconoscimento del valore di un’azienda che ha saputo svolgere il ruolo di servizio pubblico e nel contempo ha dato dimostrazione di efficienza. La privatizzazione è un’occasione per accentuare la missione affidata a Ferrovie, compreso il mandato sul miglioramento del trasporto pubblico locale”.
ùNonostante le frequenti accuse giornalistiche di essere un carrozzone le Ferrovie dello Stato hanno chiuso il 2013 con ricavi per 8,3 miliardi di euro, un risultato operativo di 818 milioni e utili per 460 milioni; forniscono, quindi, un contributo finanziario significativo al loro azionista unico. Ciò è un’ulteriore indicazione della delicatezza del tema.
Da un lato, la “denazionalizzazione” delle ferrovie può essere un veicolo per convogliare risparmio delle famiglie (3800 miliardi all’ultima conta) verso investimenti a lungo termine che abbiamo una redditività non elevatissima ma sicura, che consentano padri e madri di famiglia di ‘dormire tra due guanciali’. Da un altro lato, c’è indubbiamente la tentazione di impostare la ‘denazionalizzazione’ dando la priorità ai rami aziendali più redditizi come l’Alta Velocità, specialmente Nord–Sud, e lasciare ad aziende che dovrebbero essere sussidiate dall’erario ferrovie locali e l’attraverso da Tirreno ad Adriatico-Jonio (tratte notoriamente difficili). Ciò potrebbe portare al paradosso di una “denazionalizzazione” diretta a privatizzare i benefici e socializzare i costi, nonché una frammentazione tecnica di un sistema frutto di circa 120 anni di evoluzione come sistema integrato.
Non mancano in materia esperienze a cui guardare. Ad esempio, il saggio di Luisa Affuso “Il Servizio Ferroviario nell’Esperienza Britannica ed Internazionale” pubblicato su ‘Mercato, Concorrenza e Regole’ n.1 2003 anche se di oltre dieci anni fa delineava, in termini non positivi, la ‘denazionalizzazione’ delle ferrovie britanniche, completata nel 1994, ed effettuato tramite una frammentazione verticale ed orizzontale del sistema tramite 25 contratti di concessione a differenti operatori. A conclusioni analoghe è giunto, nel 2006, in ‘Public Money and Management’ Vo. 26 No.3 Jean Shaul in The Costo of Operating Britain’s Privatized Railways in ‘Public Esperienze analoghe si sono avute in Brasile (Antonio Estache, Andrea Goldstein Privatitazion and Regulatory Reform in Brasil:the Case of Freight Railways in ‘Journal of Industry Competion and Trade Vol 1 No.1), Argentina (Antonio Estache, José Carbato e Ginez de Ruz Argentina’s Transport Privatization and Re-regulation: Ups and Downs of a Daring Decade Long Experience in ‘World Bank Policy Research Working Paper No 2249, 2004) Si potrebbe continuare: di recente (2014), Dan Bogart e Latika Chaudhary dell’Università di California si chiedono se ‘proprietà statale è davvero negative per la produttivà delle ferrovie’ (Off the Rails:is State Ownership Bad for Productivity)
Si potrebbe continuare anche perché la letteratura in materia è sconfinata. Punta tutta nella stessa direzione: la necessità di un ottica a lungo termine che sappia recepire il meglio delle esperienze di altri Paesi al fine di contemperare le differenti e spesso divergenti esigenze ed obiettivi del sistema.
I dati riassunti all’inizio indicano l’incidenza delle Ferrovie dello Stato nell’economia italiana. Occorre evitare di cadere in trappole come quelle della privatizzazione Telecom vent’anni fa. Quindi, si prenda il tempo che ci vuole per impostare bene il metodo.
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