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venerdì 20 febbraio 2015
Perché la Grecia fa un po’ paura anche agli Stati Uniti in Formiche 20 febbraio
Perché la Grecia fa un po’ paura anche agli Stati Uniti
20 - 02 - 2015
Giuseppe Pennisi
La trattativa tra la Grecia e l’Unione europea (Ue) è in corso. Sarebbe futile fare previsioni sui suoi esiti. Tuttavia, occorre fare alcune osservazioni/precisazioni.
In primo luogo, mentre la stampa (principalmente quella italiana e quella greca) puntano il dito nei confronti del ministro delle Finanze tedesco come il “duro”, i veri “duri” sono i rappresentanti (al tavolo Ecofin) di Irlanda, Portogallo e Spagna: i loro Paesi hanno adottato misure rigorose di riassetto (e non hanno truccato i conti per entrare e restare nell’Eurozona) e considerano che la Repubblica Ellenica stia fruendo un trattamento iperpreferenziale con tassi d’interesse rasoterra e acquisto alla grande del loro debito da parte dei contribuenti europei.
Pure gli Stati Uniti sono scesi in campo per convincere il nuovo governo greco ad assumere un atteggiamento più conciliante: non solo la ormai celebre lettera afferma a chiari toni che il governo Tsipras chiede un’estensione degli aiuti ma non si sente legato dagli impegni presi dai suoi predecessori, ma il ministro del Lavoro Panos Skourletis è andato in televisione a reti unificate per sostenere che verrà applicato il programma elettorale del suo partito quali che siano le intese sottoscritte da altri con troike od autorità del genere.
Gli Usa non sono particolarmente interessati all’Europa, ma, da un lato, vedono nel persistere dell’atteggiamento di Atene la fine del diritto internazionale dell’economia, e, da un altro, lo sgretolarsi dell’Eurozona con conseguenze per tutti i mercati finanziari. E per la politica estera Usa.
Ci sono modi per uscirne. In un lavoro di Angelo Federico Arcelli e di Edward Joseph, ambedue della Paul Nitze School of International Studies di Washington, si parla chiaramente della “illusione della convergenza”: un nuovo salvataggio della Grecia (necessario anche per evitare, a loro giudizio, il contagio di Italia e Spagna) ha senso soltanto in misure drastiche di economia reale.
Arcelli riprende il tema in un saggio sul debito sovrano europeo, scritto a quattro mani con Frank Sennen Brenner: accettato che la “convergenza” ottenuta quasi spontaneamente è “un’illusione”, è urgente completare l’unione bancaria. E ciò vuol dire per la Grecia rimettere ordine a casa propria. Ancora più forte il monito da “vicini” della Repubblica Ellenica: un lavoro di Anita Ceh Casni, Ana Andabaka Badurina e Martina Basarac (tutti dell’Universitè di Zagabria) racconta come i Paesi dell’Europa Centrale, Meridionale e Sudorientale hanno risolto i loro problemi, molto simili a quelli della Grecia: apertura dell’economia, attrattività per gli investimenti dall’estero, investimenti a lungo termine e “un consolidamento dei conti pubblici davvero credibile”.
Perché la Grecia tiene duro anche di fronte agli Usa? Anche se giovane (classe 1961), Janis Varoufakis ha lavorato a lungo con Andreas Papandreou, a lungo professore negli Usa (quando era in esilio da una Grecia). In bella vista, sul tavolo di lavoro di Papandreou a Los Angeles c’era il libro
Gulliver’s Troubles or the Setting of American Foreign Policy
di Stanley Hoffmann del 1968 in cui si spiegava come un Paese piccolo e sottosviluppato può tenere sotto scacco la maggiore potenza mondiale. Sette anni più tardi, gli americani avrebbero lasciato Saigon di corsa. E l’economia mondiale ha subito un colpo durissimo. Il governo Greco sta seguendo nel negoziato la strategia e la tattiche analizzate da Hoffmann.
A Washington fa paura ciò che Lilliput può fare all’Eurozona, al negoziato transatlantico (giunto alle soglie di un accordo) ed al resto delle relazioni internazionali. In un momento in cui ci sono guerre guerreggiate un po’ da per tutto.
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