OPERA/
Teatro alla Scala: L’incoronazione di Poppea di Rinaldo Alessandrini
Pubblicazione: giovedì 5 febbraio 2015
Foto di Andrea Messana
- Opera di Parigi
NEWS Musica
Al Teatro alla Scala è in scena sino al 27 febbraio
La Incoronazione di Poppea l’ultima puntata della trilogia
monteverdiana coprodotta con l’Opéra di Parigi, Rinaldo Alessandrini per la
direzione d’orchestra e Robert Wilson per la regia. Il progetto è stato
inaugurato da L’Orfeo nel 2009 ed è proseguito con Il ritorno di
Ulisse in patria nel 2011. Per la Scala si tratta di un viaggio alle radici
del melodramma e alla riscoperta di un musicista immenso il cui teatro conserva
un’efficacia che incanta e seduce anche gli ascoltatori di oggi.
In altra sede ho trattato degli aspetti registici.
Queste note riguardano elusivamente la parte musicale. E’ importante
sottolineare che dell’opera esistono due manoscritti, uno rinvenuto a Venezia
ed uno a Napoli, ambedue senza orchestrazione (o quasi) e con accompagnamento
di basso continuo. Inoltre, le due edizioni differiscono in numerosi punti
essenziali. Sino alla fine degli Anni Settanta, si utilizzava una versione
curata da Raymond Leppard, ma se ne vedevano anche altre che davano all’opera
un’impronta melodrammatica, verista e pure wagneriana. Il primo vero tentativo
di produrre un’edizione, che tenendo conto di ambedue i manoscritto,
riproducesse qualcosa di simile a quando ascoltato nella seconda metà del
Seicento è la registrazione in studio nel 1973-74 fatta da Niholkaus
Harnancourt con il Cocertus Musicus; venne anche prodotta sulla scena a
Zurigo con la regia di Jean Pierre Ponnelle.
Altro tentativo importante di trovare le sonorità e il
clima dell’epoca è quello (registrato dal vivo) da Alan Curtis con il Concerto
Barocco al Teatro La Fenice di Venezia nel 1980. Da allora non sono mancati
tentativi di affinare su questi due filoni. Rinaldo Alessandrini ed Ottaviano
Dantone (che presentò un’importante edizione de La Incoronazione di Poppea
nel circuito dei ‘teatri di tradizione’ lombardi una quindicina di anni fa)
sono stati tra i direttore d’orchestra italiani quelli che più hanno lavorato
sulla partitura e prodotto interessanti edizioni sceniche. C’è in materia anche
un’ampia letteratura musicologica italiana e soprattutto straniera.
Alessandrini, nel programma di sala di questa edizione
alla Scala, fornisce indicazioni su come ha proceduto nel fondere i due
manoscritti. Precisa anche che -come tutti sapevamo - l’anziano Claudio
Monteverdi, Maestro di Cappella della Basilica di San Marco, lavorava con una squadra,
di cui il suo collaboratore più importante era Francesco Cavalli, organista
nella medesima Basilica e fecondo autore di opere che oggi vengono riscoperte.
Secondo Alessandrini, il 60% della musica de La Incoronazione di Poppea
è a attribuirsi a Monteverdi, il resto ai suoi colleghi nella squadra. E’ noto
che il duetto più famoso, e più lascivo, con cui si conclude l’opera, è
probabilmente frutto di Cavalli (le cui opere sono caratterizzata da un alto
grado di sessualità).
Quindi, La Incoronazione di Poppea è
il risultato di quello che oggi si chiamerebbe un ‘collettivo’. Un’altra
caratteristica la distingue dagli altri due lavori della trilogia : è stata
composta per un teatro commerciale. I teatri veneziani erano di non più di 300,
erano dotati di gruppi strumentali essenziali e bastavano voci ‘piccole’ per
ottenere le sonorità volute (anche perché gli strumenti erano pochissimi).
A Parigi, la trilogia – inclusa La
Incoronazione di Poppea – è stata presentata alla Salle Garnier ,
ossia all’Opéra costruita nel secondo Impero. E’ ben troppo grande, ma comunque
circa 600 posti meno del Teatro alla Scala ed un’acustica meno dispersiva.
Ax-en-Provence per Monteverdi e Cavalli si opta per l’antico teatro cittadino
Jeau de Paume che con i suoi 400 posti ha le dimensioni ideali. A numerosi
spettatori e critici , l’esecuzione è parsa noiosa . Parte della responsabilità
può essere da scelte di Alessandrini, ma parte di avere eseguito La
Incoronazione di Poppea, in un’edizione critica (non i vari adattamenti al
melodramma, al verismo, al wagnerismo) nella grande sala del Piermarini dove
voci e suoni si perdevano.
Quindi, La Incoronazione di Poppea è
il risultato di quello che oggi si chiamerebbe un ‘collettivo’. Un’altra
caratteristica la distingue dagli altri due lavori della trilogia : è stata
composta per un teatro commerciale. I teatri veneziani erano di non più di 300,
erano dotati di gruppi strumentali essenziali e bastavano voci ‘piccole’ per
ottenere le sonorità volute (anche perché gli strumenti erano pochissimi).
A Parigi, la trilogia – inclusa La
Incoronazione di Poppea – è stata presentata alla Salle Garnier ,
ossia all’Opéra costruita nel secondo Impero. E’ ben troppo grande, ma comunque
circa 600 posti meno del Teatro alla Scala ed un’acustica meno dispersiva.
Ax-en-Provence per Monteverdi e Cavalli si opta per l’antico teatro cittadino
Jeau de Paume che con i suoi 400 posti ha le dimensioni ideali. A numerosi
spettatori e critici , l’esecuzione è parsa noiosa . Parte della responsabilità
può essere da scelte di Alessandrini, ma parte di avere eseguito La
Incoronazione di Poppea, in un’edizione critica (non i vari adattamenti al
melodramma, al verismo, al wagnerismo) nella grande sala del Piermarini dove
voci e suoni si perdevano.
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