Poppea dimentica la sua brama di potere
di Giuseppe Pennisi
Claudio
Monteverdi era quasi ottantenne e maestro di cappella della Basilica di San
Marco quando, con un gruppo di giovani collaboratori (principalmente Francesco
Cavalli) mise in scena con L'incoronazione di Poppea una spietata scalata al
potere. Lo spettacolo è ora alla Scala di Milano fino al 27 febbraio e la
rilettura dell'opera è stata affidata al talentuoso regista Bob Wilson.
Lo spregiudicato cammino che Poppea intraprende per giungere alla potestà
assoluta utilizza l'eros per superare ostacoli sconfiggendo potenziali
avversari, e costringendoli al suicidio e all'esilio. Un quadro impressionante
della lotta politica nella Venezia del Seicento, attualissimo ancora oggi. Non
trapela però questo messaggio dallo spettacolo coprodotto con l'Opéra di
Parigi. Per circa tre ore e mezzo il regista e i suoi collaboratori mostrano
elegantissimi tableaux vivents, molto belli da vedere ma distanti dal crudo
libretto di Giovan Battista Busenello. Nonostante l'ottima squadra di cantanti
e strumentisti affidata a Rinaldo Alessandrini, ne soffre anche la musica: un
lento ricamo madrigalesco con alcune belle arie, come per esempio l'addio a
Roma di Ottavia, impersonata da Monica Bacelli e il grandioso duetto finale tra
Poppea (Miah Persson) e Nerone, il tenore Leonardo Cortellazzi in un ruolo
scritto per un castrato e di norma affidato o a un contralto o, abbassando un
paio di ottave, a un baritono. (riproduzione riservata)
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