Enel, è vera
privatizzazione?
09 - 02 - 2015Giuseppe Pennisi
Se le cose vanno come desiderato al Ministero
dell’Economia e delle Finanze (Mef) ed a Palazzo Chigi, la vendita del 3-6% di
quote Enel potrebbe essere presentato come ‘il fiore all’occhiello’ delle
privatizzazioni. Verrebbe effettuata in tempi brevi: il collocamento
inizierebbe la settimana del 9 febbraio e verrebbe completato entro la fine del
mese, anche in quanto ci sarebbero investitori internazionali interessati
all’acquisto. Il provvedimento porterebbe “cassa” (si stima sino a due miliardi
di euro) senza fare perdere allo Stato il controllo di quello che è, in
sostanza, il protagonista della produzione dell’energia elettrica. Al termine
della cessione il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), oggi azionista
con il 31,2%, si troverebbe a scendere al 25% circa. Il secondo azionista di
peso, dopo l’azionista pubblico, resterebbe People’s Bank of China con una
quota del 2 per cento.
Più importati dei due miliardi (eventuali), che appena
scalfirebbero l’irta montagna del debito pubblico, la misura sarebbe una prova
concreta che il governo intende andare avanti seriamente con il piano di
privatizzazioni (di fatto fermo da circa tre anni) almeno per quanto nelle
competenze dello Stato centrale.
La cessione di quote Enel arriva, inoltre, in un
momento particolarmente propizio: in una fase in cui il calo domanda pesa sui
ricavi (per ben 75,8 miliardi), l’Ebitda è in linea con gli obiettivi, e
soprattutto l’indebitamento scende a 38 miliardi da 44,57 in settembre,
nonostante i maggiori investimenti. Ciò indica che il management è stato in
grado di cogliere le opportunità del ribasso internazionale ed europeo dei
tassi d’interesse e d’effettuare buone operazioni di rifinanziamento, oltre che
di portare a termine cessioni di controllate all’estero (Egp France e le
attività in El Salvador).
Un terzo elemento è il desiderio di numerosi
investitori, piccoli e grandi, di porre i propri risparmi in collocamenti a
lungo termini con poco rischio, rendimenti non elevati ma con caratteristiche
di permettere di dormire tra due cuscini: i risparmi delle famiglie italiane
sono arrivati a 3800 miliardi nonostante la tassazione sia cresciuta, secondo
il Centro Studi Impresa Lavoro da 6,9 miliardi nel 2011 a 15,9 miliardi stimati
nei documenti di finanza pubblica per il 2015, e l’investimento nell’attore
principale di un mercato oligopolista pare avere le caratteristiche
appropriate.
Il 26 gennaio al ministero dell’Economia e delle
Finanze si è tenuta una riunione con il comitato per le privatizzazioni e gli
advisor (Equita e Clifford Chance) per mettere a punto la strategia. In allerta
sarebbero anche le banche già individuate per il consorzio di collocamento, una
decina in tutto, tra i maggiori player internazionali e italiani, incluse Banca
Imi e Unicredit. L’operazione dovrebbe prendere forma in tempi brevi. La
tipologia di operazione su cui si sta lavorando è quella di un book building
accelerato, che consentirebbe la realizzazione di un collocamento lampo da
chiudere nel giro di alcune ore.
Nell’ottica di chi ritiene che le privatizzazioni non
debbano essere solamente o principalmente uno strumento di breve periodo per
“fare cassa”, ed innescare energie nuove nell’azionariato oggi e domani anche
nel gruppo dirigente, è doveroso chiedersi perché il Mef non abbia colto questa
occasione per cominciare a mettere ordine in un mercato caratterizzato da
liberalizzazioni incompiute, molteplicità di attori pubblici e privati, nonché
nazionali ed europei, ed una regolamentazione incompleta ed in cui vari aspetto
si accavallano.
In Italia, abbiamo l’Autorità per l’Energia Elettrica
ed il Gas, Terna (proprietario della rete e responsabile della trasmissione e
del dispacciamento di energia elettrica, Il Gestore dei servizi energetici,
principalmente per gli incentivi alle fonti rinnovabili), l’Acquirente unico,
garante di ultima istanza della fornitura alle famiglie ed alle piccole
imprese. A livello europeo per l’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori
nazionali, in cui concorrono autorità statali incorporate nel processo
regolatorio europeo. In breve, un vero e proprio labirinto. Una guida efficace
sono i 22 saggi raccolti nel volume a cura di Alberto Clò, Stefano Clò
e Federico Botta “Riforme elettriche tra efficienza ed equità”, Bologna
Il Mulino, 2014. Ha pienamente ragione Sabino Cassese nel sottolineare
che siamo in una fase di transizione, con un mercato che continua ad essere
oligopolistico, con molte e complesse nuove regole.
Ciò non vuol dire che il riassetto del settore
(eliminando ad esempio duplicazioni ed accavallamenti), debba essere simultaneo
alla cessione di quote, ma dovrebbe, per mostrare un nesso, avvenire nei
prossimi mesi. Allora sarebbe una ‘vera’ privatizzazione con una ricaduta
istituzionale sul funzionamento del mercato.
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