I Puritani a Firenze, l'ultimo lavoro di Vincenzo Bellini
Pubblicazione:
lunedì 2 febbraio 2015
Foto di Pietro Paolini
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Ultima opera di Vincenzo Bellini, che sarebbe stato stroncato, a
meno di 35 anni da un’infezione intestinale, I Puritani fu composta a
Parigi per un pubblico, però, in gran misura francese. Bellini aveva
abbandonato il proprio librettista favorito, Felice Romani, d in Francia, nei
salotti di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, ivi fuggita a ragione dei suoi
contatti con la carboneria, aveva incontrato il Conte Carlo Pepoli, autore del
libretto del lavoro.
Anche Pepoli era in esilio; si riteneva un poeta (ma Leopardi aveva
dissuaso la sorella a leggere i suoi scritti) e dal dramma
storico di Jacques-François Ancelot e
Joseph Xavier Boniface Têtes rondes et Cavaliers ne uscì uno dei
libretti più scombinati della storia del melodramma. E’, però, sotto il profilo
musicale, il capolavoro di Bellini, per la cui messa in scena a Parigi
disponeva di voci davvero eccezionali. Ne scrisse una seconda versione per il
San Carlo, adattando i registri (specialmente quello della protagonista - da
soprano a mezzo soprano) dove, però, venne rappresentata solo nel 1857; è stata
ripresa un paio di volte di recente essenzialmente come curiosità.
I Puritani è lavoro la cui messa in scena fa tremare il
polso a sovrintendi e direttori musicali di teatri per le difficoltà vocali che
comporta. E’ anche di grande importanza la scrittura orchestrale; a differenza
di gran parte delle opere di Bellini non è solo o principalmente di
supporto al belcanto (come, ad esempio, in Norma) ma densa di
presagi del romanticismo francese. I ‘numeri’ sono, poi, molto estesi, altra
indicazione che ove Bellini fosse vissuto, avrebbe viaggiato non verso il
melodramma verdiano ma verso il romanticismo o francese od anche tedesco, a
ragione dell’importanza dei colori orchestrali.
E’ una delle opere raramente rappresentate del compositore
catanese, anche perché basata su un libretto in cui amori, intrighi, tradimenti
(finti o presunti) e pazzia ai tempi delle guerre di Cromwell con gli Stuart si
intrecciano tra loro e terminano con colpo di scena a lieto fine. Le noti di
regia non semplificano la lettura perché prendendo spunto da uno scambio di
versi nel terzo atto, questo atto è spostato di tre secoli e l’azione intesa
come ricordi di larve. Fortunatamente, solo che ha letto le note si rende
conto dell’intenzione del regista.
De Chirico ne firmò un allestimento in cui l’astrusa vicenda era
trasformata in un gioco di carte - una fazione erano i “quadri” e l’altra
i”cuori”- quasi a sottolineare l’irrilevanza del testo. Nel 2008-2009 una messa
in scena di Pier’Alli è stato co-prodotta dalle fondazioni liriche di Palermo,
Bologna e Cagliari e portato al Festival di Sanvonlinna in Filandia ed
infine a Tokio al Bunka Kaikan. Nel 2012 il “circuito lombardo” (
Cremona, Como, Brescia, Pavia) e il “Pergolesi” di Jesi hanno realizzato
un’avventura analoga, affidando la regia, le scene ed i costumi, ad una squadra
proveniente dal teatro di prosa sperimentale (Carmelo Rifici, Guido Buganza,
Margherita Baldoni), e la direzione musicale ed il canto a interpreti giovani e
poco conosciuti. Ne ho un ottimo ricordo anche e soprattutto grazie all’ottima
direzione orchestrale di Giacomo Sagripanti
I Puritani si addice ad essere coprodotto non per
l’impianto scenico ma per la difficoltà di trovare voci adatte. La produzione
ora in scena a Firenze sino al 10 febbraio sarà a Torino dal 14 al 26 aprile e
forse in autunno a Trieste. La regia è affidata a Fabio Ceresa (classe 1981):
come detto, le note di regia possono disorientare il pubblico per la
collocazione del terzo atto in un ipotetico Ade. Invece, l’attenta recitazione,
l’astuto impiego delle masse, la cupa scena di Tiziano Santi ed i costumi di
Giuseppe Palella rendono efficacemente l’atmosfera ossessiva che circonda
la protagonista (Jessica Pratt in grandissima forma) e rendono plausibile il
libretto. Il secondo atto, quasi interamente dedicato alla ‘scena della
pazzia’, prova che la Pratt è uno dei rari soprani in grado di affrontare il
ruolo.
Il gruppo dei protagonisti maschili, di buon livello ma non
eccelso, è composto da Massimo Cavalletti, Antino Siragusa e Gianluca Buratto.
Eccellente la direzione musicale di Matteo Beltrani (classe 1975) il quale,
oltre a tenere bene gli equilibri tra buca e palcoscenico, ha messo in evidenza
la delicatissima introduzione e la giustamente famosa polonaise e
mostrato come l’ultima opera di Bellini è un vero ricamo di atmosfere
affidate alla sonorità orchestrali tali da rendere plausibile (almeno tanto
quanto la vocalità) l’astruso intreccio. Una direzione musicale che pone
l’opera nel ‘romanticismo francese’ ed è degna di gareggiare con quella
registrata dall’allora giovane Riccardo Muti nel 1980.
L’Italia ha ormai un gruppo di giovani maestri concertatori, molto
apprezzati nei maggiori teatri stranieri ma vorremo vedere più spesso in
Patria. Il cronista deve riferire che c’è stata qualche labile protesta alla
concertazione ‘romantica’ di Beltrami e non tutti hanno apprezzato la lettura
psicoanalitica di Ceresa.
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