venerdì 29 novembre 2013

I bitcoin, la moneta «privata» che gli Stati vogliono regolare in Avvenire 30 novembre



la bolla e le paure

I bitcoin, la moneta «privata» che gli Stati vogliono regolare


DI GIUSEPPE PENNISI

S i deve essere preoccupati per il forte aumento delle transazioni in bitcoin? Si tratta di una moneta elettronica, creata nel 2009, da un esperto informatico trinceratosi dietro lo pseudonimo di Shatoshi Naka­moto. Dopo un avvio lento (al 31 dicembre 2012 la circolazione e­ra stimata in 140 milioni di dolla­ri), c’è stata negli ultimi mesi, e soprattutto nelle settimane più recenti, un’impennata: alcune ri­cerche parlano di 1,2 miliardi di dollari, ma se­condo stime re­centi della Fede­ral Reserve ame­ricana si sarebbe giunti a 6 miliardi.

Determinante chiave il cambio tra bitcoin e dol­lari: quattro setti­mane fa un bit­coin valeva (si tratta pur sempre di stime) 540 dollari, il 30 novembre era salito a 900. Il sottostante: la guerra va­lutaria nel Pacifico (poco notata nel Vecchio Continente alla pre­se con i nodi dell’euro).

Per alcuni, i bitcoin rappresenta­no la realizzazione del sogno del premio Nobel Frederick Hayek (e, più recentemente, dell’economi­sta francese Maurice Allais) di tor­nare, come nell’antichità, a mo­nete 'private', 'autoregolate', e 'in concorrenza l’una con l’altra' in modo che il mercato, e non la tecnocrazia, possa determinarne il valore (anche sulla base della qualità dell’autoregolazione). Per altri ancora, la diffusione dei bit­coin nasconde il rischio non tan­to di una crescita non controllata della liquidità mondiale (come al­tre forme di moneta telematica, i bitcoin incidono non sulla quan­tità complessiva di moneta ma sulla sua velocità di circolazione); possono, però, accentuare movi­menti speculativi nei confronti di questa o quella moneta (i movi­menti di questi giorni verrebbero letti come un attacco al dollaro).

I bitcoin non sono la unica mo­neta 'privata', 'autoregolata' , e senza un padre con nome e co­gnome, nata recentemente: basti pensare al 'dinaro svizzero elet­tronico' utilizzato in Iraq per va­rie transazioni per una decina an­ni. Si differisce da queste, però, per la sua capacità di espandersi. La stessa esistenza e diffusione pongono complessi problemi giuridici.

Come si ottengono bitcoin? Sul mercato telematico (presso siti dedicati) in cambio di monete (dollaro, euro, yen, yaun) oppure tirandoli fuori dalla 'miniera’’ (co­me si fa con l’oro e l’argento) ri­solvendo – attra­verso l’impiego di un’enorme quan­tità di potenza computistica – complicatissimi algoritmi mate­matici. Per questo motivo, l’aumen­to del valore dei bitcoin in circola­zione è da attri­buirsi quasi interamente al tasso di cambio.

Al pari di altre monete 'private' virtuali, i bitcoin hanno indubbi vantaggi: bassi costi di transazio­ne, legittimazione come unità di conto e di riserva dai suoi utiliz­zatori, impossibilità di interfe­renza politica. Hanno anche seri svantaggi: incertezza, mancanza di regolazione esplicita, 'esterna­lità di rete' (più sono i suoi utiliz­zatori maggiore è il suo valore). I bitcoin hanno successo in gran misura a ragione degli alti costi associati ad altre forme di mone­ta elettronica. Delle proposte sul tappeto, la più interessante è ancora in bozza di­stribuita ad un numero limitato di amici da Nicholas Plassaras dell’Università di Chicago: il testo dovrebbe essere pubblicato nel numero di gennaio 2014 del Chi­cago Journal of International Law .

Il lavoro delinea un percorso tec­nico- giuridico per portare i bit­coin nell’ambito delle regole di base del Fondo monetario inter­nazionale (Fmi). Sempre che il lo­ro crepuscolo non giunga prima della loro regolazione.

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