mercoledì 20 novembre 2013

Fra quotate e non, una «torta» da 50 miliardi Gli immobili dello Stato ne valgono più di 70 in Avvenire 19 novembre



Fra quotate e non, una «torta» da 50 miliardi Gli immobili dello Stato ne valgono più di 70


DI GIUSEPPE PENNISI L a nuova stagione delle privatizzazioni sem­bra dunque essere dietro l’angolo. Il Con­siglio dei ministri del 29 ottobre aveva del resto reso «permanente» il comitato per le pri­vatizzazioni, presieduto dal direttore generale del Tesoro e composto da quattro esperti «di ri­conosciuta professionalità ed esperienza». La volontà politica c’è, ma la strada resta in salita. Basti pensare che l’unica privatizzazione decre­tata dal governo Monti – quella dell’Unione naziona­le degli ufficiali in congedo d’Italia (Unici) con 35.000 i­scritti e una manciata di di­pendenti – non è andata in porto perché il pertinente decreto legge non è stato convertito a ragione dello scioglimento delle Camere.

Non mancano tuttavia ana­lisi e stime. Secondo l’agen­zia Bloomberg, il governo in­tenderebbe mettere sul mercato una quota del 4% dell’Eni, operazione che sarebbe in cima al programma. La quota di Eni in mano pubblica è suddivisa tra Tesoro e Cassa Depositi e Presti­ti (Cdp). Il Tesoro detiene una quota del 4,34%, mentre la Cdp ne ha una del 25,76%. Agli attuali corsi di Borsa, la vendita del 4% frutterebbe cir­ca 2,6 miliardi di euro . Non ci sarebbe invece al momento l’intenzione di cedere, a breve, parte­cipazioni in Enel e Finmeccanica. Sul tavolo del ministro dell’Economia c’è sicuramente un do­cumento preparato dalla Fondazione Astrid («Valorizzazione e Privatizzazione del Patrimo­nio Pubblico) che fornisce stime interessanti: la quota Snam detenuta dalla Cdp potrebbe vale­re attorno a 2,9 miliardi di euro, quella di Terna 1, 5: un totale, quindi, di 4,4 miliardi. Aggiun­gendo l’Eni si arriverebbe a 17 miliardi.

Se si volesse operare alla grande ed il mercato re­cepisse anche aziende non quotate – come ad e­sempio Anas, Enav, Eur, Ferrovie, Invitalia, Isti­tuto Poligrafico e Zecca dello Stato e Poste Ita­liane, nonché una percen­tuale della stessa Cdp – si potrebbero aggiungere altri 30 miliardi e sfiorare i 50 mi­liardi (oltre 90 consideran­do anche le municipalizza­te e le società regionali).

Inoltre, ci sono voci insi­stenti sulla privatizzazioni della Rai (non inclusa tra le aziende privatizzabili del documento Astrid). Se ne parla dal 2002: con il vasto numero di canali del digitale terrestre è difficile giustificare tre reti e vari canali specializzati pub­blici, mentre altri Paesi Ue hanno di norma un unico canale pubblico. È altresì complicato fare una stima del valore di un’azienda da anni in perdita. Ancora più arduo individuare chi po­trebbe essere interessato anche solo potenzial­mente all’acquisto pure solo di una partecipa­zione.

Non mancherebbero investitori invece per il co­siddetto «capitalismo regionale e municipale», una selva vastissima di circa 370 imprese con 200.000 addetti. Alcune imprese sono di grandi dimensioni (si pensi a Hera, Iride, Gesac, Aem-Asm, Acea) e risultano da un processo di aggre­gazione degli ultimi venti anni. Accanto ai 'gi­ganti' c’è poi una miriade di piccole e medie a­ziende. Complessivamente, formano oltre l’1% del Pil nazionale, ma in alcune Regioni rappre­sentano il 6% del valore aggiunto prodotto in lo­co. Tuttavia, si è fuori dal perimetro dello Stato. La «privatizzazione» di parte di questo patrimo­nio spetta a Regioni e Comuni. Intromissioni da parte del governo solleverebbero delicati pro­blemi costituzionali. Naturalmente si progetta ancora una volta di va­lorizzare e privatizzare il vasto patrimonio del­lo Stato (ad esempio la caserme non più utiliz­zate) e degli enti locali (ad esempio le case po­polari). Le analisi, tra cui lo studio Astrid, dimo­strano che i ricavi possibili variano in maniera significativa a secondo delle modalità di valo­rizzazione e cessione. Secondo un’analisi dell’I­stituto Bruno Leoni (dicembre 2012), il valore atteso dalle parte libera degli immobili pubbli­ci eventualmente dismessi supera i 40 miliardi di euro, a cui si potrebbero aggiungere 13 mi­liardi considerando anche gli immobili occupa­ti da attività della Pubblica amministrazione e addirittura gli 80 miliardi dell’edilizia residen­ziale pubblica. Le esperienze precedenti in Italia, nonché di Pae­si come la Francia, suggeriscono in ogni caso molta cautela nelle stime del gettito e soprat­tutto della tempistica.

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Non mancherebbero investitori per il cosiddetto «capitalismo regionale e municipale», una selva di circa 370 imprese con 200mila addetti che vale 50 miliardi

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