Datagate, chi
vince e chi perde nell’ultima storia di spie
02 - 11 - 2013Giuseppe Pennisi
Non sono mai stato un esperto di spie e di spionaggio
(anche se, nella mia vita professionale, di spioni ne ho incontrato tanti),
tuttavia, dalle ultime
vicende del Datagate – e dalle dichiarazioni del massimo
esponente della National Security Agency (NSA) americana, Keith
Alexander – appare chiaro chi è il perdente di questa storiaccia: John
Le Carré (ed il mito di Cambridge Circus da lui creato).
Il Circus, con manovali come James Bond sarebbe
stato invincibile nei confronti non solo dei “commies” (i
comunisti dell’URSS e dell’Europa orientale in generale) ma anche nei riguardi
dei giuggioloni , ed un po’ grulli, “yankees”. Il Circus non
prendeva neanche in considerazione il Deuxième Bureau, il mitizzato
(oltralpe) servizio d’informazioni militari francese nato nel 1871 (ossia
subito dopo la débacle subita a Sédan) e formalmente sciolto nel 1940 ma
comunque sempre attivo (e protagonista negli ultimi anni delle strategie –
peraltro disastrose – attuate nella regione dei grandi laghi in Africa e in
Libia).
Il succo del Datagate è che i servizi segreti
americani hanno utilizzato gli ultimi progressi tecnologici per fare il
loro lavoro (carpire il meglio delle informazioni dai maggiori interessati – i
“grandi”) mentre al Circus ed al Deuxième Bureau ci si baloccava ancora con
barbe finte e prostitute di alto bordo (che si facessero raccontare segreti
sotto le lenzuola tra un gioco erotico e l’altro). Meglio non parlare dello spionaggio
all’italiana finito alcuni anni fa nelle cronache di Tangentopoli perché
personaggi dai cognomi botanici avrebbe utilizzato fondi pubblici “segreti” per
fini privatissimi.
In effetti, la conclusione più importante del Datagate
è che senza un pentito come Edward Snowden (nella foto)
nessuno ne avrebbe mai saputo nulla. La ragione principale: l’inefficienza
del controspionaggio, specialmente europeo. Non c’è stato sino ad ora
nessun pentito in Russia o in Cina; non sappiano se i loro
servizi (tecnologicamente molto avanzati) abbiamo emulato – forse superato gli
americani.
Quale l’antidoto
contro il Datagate? Non credo che nel breve periodo ne esistano. Non
certo una “convenzione internazionale sulla privacy” che tutti
violerebbero. Nel medio e lungo, gli europei si devono attrezzare, ma ciò
comporta costi elevati in tempi di spending review.
Nella mia vita professionale – ho detto – ho
incontrate tante spie. In primo luogo, ho studiato alla School for Advanced
International Studies a Washington; molti dei miei compagni di classe andavano
a lavorare nell’intelligence . È una strada presa da alcuni dei miei migliori
amici, tra cui uno dei padrini di uno dei miei figli. Quando nel maggio 1970
tutti gli ospiti dell’Intercontinental di Amman vennero presi come ostaggi dai
terroristi palestinesi, fu lui ad avvisare mia moglie che non ero in Giordania;
per circostanze fortuite avevo perso la coincidenza aerea a Beirut. Né la Banca
mondiale (il mio datore di lavoro) né il Dipartimento di Stato avevano un
elenco degli ostaggi ma il venticinquenne (che prestava il servizio militare
nell’intelligence) se l’era procurato ed era esatto.
Washington era naturalmente – naturaliter direbbero i
tedeschi – terreno di spie. Per l’Italia pareva che facesse il bello ed il
cattivo tempo un tal colonnello Giovannone (deceduto nel 1985) che
assurse successivamente alle cronache per misteriose vicende in Libano e in
Somalia.
Quando, negli Anni Settanta, dirigevo una divisione
della Banca mondiale con responsabilità operative su parte dell’Africa, era a
tutti noto che la capitale del Burundi, Bujumbura, era un’importante
centrale di spionaggio (un po’ come la Vienna de Il Terzo Uomo)
in quanto dalle sue alture si controllava lo Shaba (la regione del Congo,
un tempo chiamata Katanga, ricca in cobalto oltre che in rame).
Spie di differenti Paesi si incrociavano, facendo
finta di nulla, nella bella spiaggia del Club Nautique sul Lago
Victoria. Incontri più riservati (forse anche con scambi di cortesie e di
informazioni) avvenivano nel bar dell’Hotel Ridgeway di Lusaka, capitale
della vicina Zambia. Al Cairo ha svolto per lustri una funzione analoga il gran
caffè Groppi, una delle migliori pasticcerie e gelaterie della metropoli
con varie sale da tè. Era uno spionaggio pacioccone.
Il nostrano era tanto pacioccone che non pare di
essersi mai accorto negli Anni Ottanta (allora vivevo ed insegnavo a Bologna)
che nella Bazzanese (la strada di bassa montagna che porta a Modena, da tante
villette innocenti con i sette nani di plastica in giardino, sporgevano enormi
radar. Erano abitate da cinquantenni italo-americani, molti nati sul
posto ed andati oltreoceano al seguito della US Army), tutti pensionati
d’anzianità dell’US Government, molti benefattori delle parrocchie dei
villaggi. A cosa servivano i radar? A contatti con l’US Government? Con “Cosa
Nostra”, dato che in quei villaggi venivano inviate al confino persone
“onoratissime”? Con ambedue?
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