Falstaff a
Berlino: La musica fa ringiovanire
La Deutsche Oper Berlin chiude l’anno verdiano con una
nuova produzione di Falstaff, capolavoro ultimo del compositore che dopo
una lunga e meticolosa gestazione lo mise in scena a 80 anni. La prima del
nuovo allestimento è stata il 17 novembre e questa stagione le repliche dureranno
sino al 9 gennaio.
E’ interessante notare che il 2013 è stato aperto alla
Scala con una nuova produzione di Falstaff (dal 15 gennaio al 12
febbraio), in joint venture con la Royal Opera House (RHO), il Covent Garden,
di Londra ed affidato a Robert Carsen (regia) e Daniel Harding
(direzione musicale).
Inoltre, il 10 novembre a Ravenna si è visto un
delizioso Falstaff che, sino a primavera 2014 inoltre verrà
rappresentato a Ferrara, Lucca, Piacenza ed altri teatri italiani prima di
andare all’estero. A Salisburgo, Damiano Michieletto ha presentato un
nuovo Falstaff.
A Berlino la regia è affidata a Christoff Loy
(le scene a Johannes Lelacker), i costumi a Ursula Renzebink. La
direzione musicale a Donal Runnicles, a lungo alla guida musicale della
Staatsoper di Vienna prima di venire nella capitale tedesca.
Questi riferimenti sono utili è perché l’azione non è
all’epoca elisabettiana, come in famosi allestimenti di Strehler e Zeffirelli,
nonché in quello recente di Cristina Muti oppure nel mirabile lavoro
fatto da Carlo Maria Giulini e Richard Eyer nel 1982 (Los
Angeles, Londra , Firenze) e nella tradizione in generale. Non viene neanche
portato ad un rave party come fece Luca Ronconi a Firenze una decina di
anni fa od in una stazione ferroviaria britannico all’inizio del Novecento come
realizzato da Herbert Wernicke a Aix en Provence ed in una dozzina di
teatri europei. Pare prendere in parte l’ispirazione dallo spettacolo di Marco
Arturo Marelli, in scena dal 2003 alla Staatsoper di Vienna: la vicenda è
portata nella Gran Bretagna pettegola degli anni Cinquanta, dove Carsen,
nell’edizione scaligera, vede Falstaff come una commedia sociale,
raccontata con uno sguardo molto acuto su una parte della società. Soprattutto,
però, Loy prende a prestito l’idea iniziale dell’allestimento di Michieletto:
Falstaff si svolge ai giorni d’oggi nella casa di riposo per musicisti
anziani creata da Verdi a Milano. Mentre però in Michieletto il gioco era poco
convincente (come far sprizzare eros a Fenton e Nannetta se sono due
vecchietti?), Loy ha un’idea geniale: man mano che interpretano l’opera
gli anziani della casa di riposo ringiovaniscono (o credono di ringiovanire).
Un vero omaggio alla sempiterna giovinezza della musica.
L’intreccio non si limita al gioco delle situazioni
tragicomiche,ma arricchisce la buffa vicenda con un grande approfondimento
dell’animo umano: pensiamo alla gelosia di Ford, alla malizia delle “comari”,
all’innocenza dei giovani,ma anche alla loro astuzia. Naturalmente, vi si
sviluppano temi consueti nella commedia, come la contrapposizione dei giovani
contro gli anziani, ma il tratto saliente dell’opera è proprio la sua vitalità,
quell’ingordigia della vita, quello stesso appetito che si ha per il buon cibo
o per le buone bevande. Un appetito che grazie alla musica resta invariato
quale che sia l’età.
Loy, al pari di Carsen, pone l’accento su una
caratteristica poco notata del Falstaff: è un’opera molto sensuale. In
effetti, eros e sensualità che nel teatro musicale italiano dell’Ottocento era
stato cacciato dalla porta maggiore (salvo a rientrare dalla finestra in La
Traviata ed in Un Ballo in Maschera) stava diventando di nuovo
proprio diventando centrale sulla scena. La prima di Manon Lescaut di Giacomo
Puccini (che trasuda eros da ogni nota) precede di nove giorni quella del Falstaff.
Per interpretare l’opera come una celebrazione dei sensi vengono inserite
situazioni in cui si mangia e si beve e soprattutto ci si spoglia.. Nello
spartito ci sono spesso parti in cui i personaggi cantano insieme o si parlano
quasi addosso: anche questa caratteristica riporta all’idea di festa che io
vedo nell’opera, in cui spesso si festeggia e ci si intrattiene in allegria.
L’allestimento scenico è semplicissimo: poca
attrezzeria, qualche filmato. Ciò faciliterà la Deutsche Oper Berlin a
riproporlo nei prossimi anni ed a noleggiarlo. Di grande livello la parte
musicale, nonostante che la sera della ‘prima’ la dizione italiana di quasi
tutti i cantanti (tranne Joel Prieto nel ruolo di Fenton) lasciasse un po’ a
desiderare. Ottimo Donal Runnicles sul podio nel leggere con cura la
polifonia e la forme classiche (come la “fuga finale” del capolavoro verdiano.
Molto interessanti le voci di Noel Bouley (Falstaff) e Michael
Nagi (Ford), due baritoni verdiani morbidi (come previsto dall’autore) mentre
la tradizione italiana predilige un baritono molto scuro od un basso per il
ruolo del protagonista. Molto efficace il gruppo femminile (Barbara Haveman,
Elena Tsallagova, Jane Kurukova, Dana Beth Miller) . Buoni caratteristi
minori. Alla “prima”, pubblico divertito e molti applausi sia a scena aperta
che al termine dello spettacolo.
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