mercoledì 20 novembre 2013

Falstaff a Berlino: La musica fa ringiovanire in Formiche 19 novembre



Falstaff a Berlino: La musica fa ringiovanire
19 - 11 - 2013Giuseppe Pennisi
La Deutsche Oper Berlin chiude l’anno verdiano con una nuova produzione di Falstaff, capolavoro ultimo del compositore che dopo una lunga e meticolosa gestazione lo mise in scena a 80 anni. La prima del nuovo allestimento è stata il 17 novembre e questa stagione le repliche dureranno sino al 9 gennaio.
E’ interessante notare che il 2013 è stato aperto alla Scala con una nuova produzione di Falstaff (dal 15 gennaio al 12 febbraio), in joint venture con la Royal Opera House (RHO), il Covent Garden, di Londra ed affidato a Robert Carsen (regia) e Daniel Harding (direzione musicale).
Inoltre, il 10 novembre a Ravenna si è visto un delizioso Falstaff che, sino a primavera 2014 inoltre verrà rappresentato a Ferrara, Lucca, Piacenza ed altri teatri italiani prima di andare all’estero. A Salisburgo, Damiano Michieletto ha presentato un nuovo Falstaff.
A Berlino la regia è affidata a Christoff Loy (le scene a Johannes Lelacker), i costumi a Ursula Renzebink. La direzione musicale a Donal Runnicles, a lungo alla guida musicale della Staatsoper di Vienna prima di venire nella capitale tedesca.
Questi riferimenti sono utili è perché l’azione non è all’epoca elisabettiana, come in famosi allestimenti di Strehler e Zeffirelli, nonché in quello recente di Cristina Muti oppure nel mirabile lavoro fatto da Carlo Maria Giulini e Richard Eyer nel 1982 (Los Angeles, Londra , Firenze) e nella tradizione in generale. Non viene neanche portato ad un rave party come fece Luca Ronconi a Firenze una decina di anni fa od in una stazione ferroviaria britannico all’inizio del Novecento come realizzato da Herbert Wernicke a Aix en Provence ed in una dozzina di teatri europei. Pare prendere in parte l’ispirazione dallo spettacolo di Marco Arturo Marelli, in scena dal 2003 alla Staatsoper di Vienna: la vicenda è portata nella Gran Bretagna pettegola degli anni Cinquanta, dove Carsen, nell’edizione scaligera, vede Falstaff come una commedia sociale, raccontata con uno sguardo molto acuto su una parte della società. Soprattutto, però, Loy prende a prestito l’idea iniziale dell’allestimento di Michieletto: Falstaff si svolge ai giorni d’oggi nella casa di riposo per musicisti anziani creata da Verdi a Milano. Mentre però in Michieletto il gioco era poco convincente (come far sprizzare eros a Fenton e Nannetta se sono due vecchietti?), Loy ha un’idea geniale: man mano che interpretano l’opera gli anziani della casa di riposo ringiovaniscono (o credono di ringiovanire). Un vero omaggio alla sempiterna giovinezza della musica.
L’intreccio non si limita al gioco delle situazioni tragicomiche,ma arricchisce la buffa vicenda con un grande approfondimento dell’animo umano: pensiamo alla gelosia di Ford, alla malizia delle “comari”, all’innocenza dei giovani,ma anche alla loro astuzia. Naturalmente, vi si sviluppano temi consueti nella commedia, come la contrapposizione dei giovani contro gli anziani, ma il tratto saliente dell’opera è proprio la sua vitalità, quell’ingordigia della vita, quello stesso appetito che si ha per il buon cibo o per le buone bevande. Un appetito che grazie alla musica resta invariato quale che sia l’età.
Loy, al pari di Carsen, pone l’accento su una caratteristica poco notata del Falstaff: è un’opera molto sensuale. In effetti, eros e sensualità che nel teatro musicale italiano dell’Ottocento era stato cacciato dalla porta maggiore (salvo a rientrare dalla finestra in La Traviata ed in Un Ballo in Maschera) stava diventando di nuovo proprio diventando centrale sulla scena. La prima di Manon Lescaut di Giacomo Puccini (che trasuda eros da ogni nota) precede di nove giorni quella del Falstaff. Per interpretare l’opera come una celebrazione dei sensi vengono inserite situazioni in cui si mangia e si beve e soprattutto ci si spoglia.. Nello spartito ci sono spesso parti in cui i personaggi cantano insieme o si parlano quasi addosso: anche questa caratteristica riporta all’idea di festa che io vedo nell’opera, in cui spesso si festeggia e ci si intrattiene in allegria.
L’allestimento scenico è semplicissimo: poca attrezzeria, qualche filmato. Ciò faciliterà la Deutsche Oper Berlin a riproporlo nei prossimi anni ed a noleggiarlo. Di grande livello la parte musicale, nonostante che la sera della ‘prima’ la dizione italiana di quasi tutti i cantanti (tranne Joel Prieto nel ruolo di Fenton) lasciasse un po’ a desiderare. Ottimo Donal Runnicles sul podio nel leggere con cura la polifonia e la forme classiche (come la “fuga finale” del capolavoro verdiano. Molto interessanti le voci di Noel Bouley (Falstaff) e Michael Nagi (Ford), due baritoni verdiani morbidi (come previsto dall’autore) mentre la tradizione italiana predilige un baritono molto scuro od un basso per il ruolo del protagonista. Molto efficace il gruppo femminile (Barbara Haveman, Elena Tsallagova, Jane Kurukova, Dana Beth Miller) . Buoni caratteristi minori. Alla “prima”, pubblico divertito e molti applausi sia a scena aperta che al termine dello spettacolo.

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