Hannigan,
voce e bacchetta di un soprano che stupisce
04 - 11 -
2013Giuseppe Pennisi
Barbara Hannigan è un soprano canadese di coloratura di straordinaria
avvenenza – il tipo che fa girare la testa se la si incontra per strada. Poco
nota in Italia se non tra gli appassionati di musica contemporanea che
richiedono ruoli di grande agilità vocale. Ha preso parte è vero in Signor
Goldoni di Luca Mosca alla Fenice, opera , però, di tale inconsistenza
musicale che è presto finita nel dimenticatoio.
Sarebbe dovuta apparire al Maggio Musicale Fiorentino
in Written on the Skin di George Benjamin, dramma erotico che ha
debuttato trionfalmente a Aix en Provence e sta mietendo successi sui maggiori
palcoscenici europei, ma, nonostante la fondazione toscana sia uno dei
produttori del lavoro, lo ha cancellato a ragione del baratro finanziario in
cui versa. Ha trionfato a Roma, alcuni anni fa, in un ruolo de Le Grand
Macabre di Gyorgy Ligeti ma la produzione era così complessa e la
parte più bigotta del pubblico romano la ha accolta con sconcerto che pochi la
hanno notata nel doppio ruolo di Venere e del mago Geopopo. Chi la ha vista in
Lulu al Gran Théâtre de la Monnaie a Bruxelles non può dimenticarla. Molti
attendono il suo debutto (probabilmente alla Scala) nel ruolo di Marie in Dei
Soldaten di Bernd Alois Zimmermann.
Sabato 2 novembre, Barbara è stata protagonista
del secondo concerto in abbonamento della
stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, di fronte
ad un pubblico tendenzialmente canuto e conservatore. E, per l’occasione, ha
raddoppiato: si è presentata nella doppia veste di cantante e di direttore
d’orchestra. Articolato su un programma apparentemente eclettico ma con una
logica interiore. Due sinfonie di Gioacchino Rossini (Italiana in Algeri
e La Scala di Seta) ad inizio di ciascuna delle due parti. Due lavori molto
differenti di Ligeti (Concert Românesc del 1951 e Mysteries of the Macabre
degli Anni Ottanta), tali da mostrare l’evoluzione del compositore, il quale
idoleggiava Rossini. Tre arie di Mozart per soprano ed orchestra – quelle che
veniva eseguite nei saloni delle Residenza nobiliari – e la raramente eseguita
Suite per orchestra di Gabriel Fauré tratta dalle musiche di scena per
una serie di rappresentazioni in Gran Bretagna di Pelléas et Melisande di Maurice
Maeterlinck.
Quale il nesso tra il Settecento di Mozart e Rossini,
da un lato, e Fauré e Ligeti, dall’altro? Non solo , come si è detto, Ligeti
idolatrava Rossini – per questo la sua unica opera per il teatro, Le Grand
Macabre, è comica ed erotica anche se sulla base di una riflessione sulla
morte. Ma la sua musica è impregnata di Settecento. Non solo il Concert
Românesc composto nell’Ungheria del “socialismo reale” (ermeticamente chiusa ai
fermenti ed alle esperienze culturali dell’Occidente e da cui Ligeti fuggì nel
1956) è un poema sinfonica descrittivo (della Transilvania) modellato sugli
esempi di fine Ottocento-Inizio Novecento.
In bell’abito da sera nella prima parte del concerto
ed un costume da cabaret nel Ligeti finale, Barbara Hannigan ha concertato con
perizia (dando prova di grande tecnica) la parte solo orchestrale. Per le arie
mozartiane, ha dato gli “attacchi” all’orchestra cantando volgendole le spalle.
Nello strepitoso Mysteries of the Macabre, posta l’orchestra sulla sinistra del
palco, ha diretto cantando. Grande successo con applausi divertiti anche dalla
parte più tradizionalista del pubblico. È una buona iniziativa dell’Accademia
in una fase in cui Roma sta diventando una delle capitali europee della
musica contemporanea, con tre festival in corso proprio in queste settimane.
Si replica il 4 ed il 5 novembre. Da non perdere.
Nessun commento:
Posta un commento