InScena
Con
Meyerbeer in scena femminismo e razzismo
La Fenice ha
inaugurato la stagione lirica con L'Africaine di Giacomo Meyerbeer . L'attuale
ciclo di repliche termina il primo dicembre, ma il lavoro tornerà sulle forse
già in estate. Lasciata incompiuta da Meyerbeer alla propria morte (dopo averci
lavorato per 20 anni), L'Africaine è l'ultimo esempio del grand-opéra francese.
Ha registrato un grande successo nella seconda metà dell'Ottocento, seguito
da oblio e da rare riprese dopo la Seconda guerra mondiale, anche perché
comporta numerosi problemi scenici e vocali. La drammaturgia di Leo Muscato
mostra che, sotto una trama storico sentimentale da film anni 50, ci sono due
temi fondanti (e insoliti per l'epoca, ossia 1840-1865, periodo in cui il
lavoro venne concepito): femminismo e anti-razzismo. Le due protagoniste
femminili (la portoghese Inès, Jessica Pratt, e l'indiana Sélika, Veronica
Simeoni), pur rivali nell'amore dello stesso uomo (Vasco de Gama, Gregory
Kunde) annichiliscono il protagonista maschile e sconfiggono sia il Gran Consiglio
di Lisbona sia la corte Brahminica. Razzismo e colonialismo vengono poi
denunciati senza mezzi termini (nonostante si fosse all'epoca degli Imperi).
Con una pedana, attrezzi e molta tecnologia (filmati e proiezioni) vengono
creati numerosi effetti speciali. La partitura, completata da un allievo di
Meyerbeer, è accattivante e di facile presa sul pubblico: un compendio
dell'opera francese della prima metà dell'Ottocento al 1865. A differenza di
altri lavori del berlinese che giganteggiava a Parigi (per esempio Le
Prophète), però, manca coesione. Emmanuel Villaume, sul podio, dovrebbe
aggiungere tinta orchestrale. Buoni i 13 solisti e il coro. Applausi a scena
aperta ai tre protagonisti e ovazioni a fine spettacolo. (riproduzione
riservata)
di Giuseppe
Pennisi
Nessun commento:
Posta un commento