L’Africaine
ha aperto la Stagione 2013-14 della Fenice
Opera • Il
titolo di Giacomo Meyerbeer, assente dai palcoscenici italiani da 43 anni, era
ieri nel teatro veneziano. Tra i protagonisti vocali Gregory Kunde, Jessica
Pratt (intervista) e Veronica Simeoni, regista Leo Muscato, direzione musicale
di Emmanel Villaume
di Giuseppe Pennisi
La Fenice è
l’unico teatro d’opera italiano di semi repertorio; spettacoli prodotti in
casa che se hanno successo vengono replicati per diversi anni, contando sul
flusso di pubblico internazionale che visita la Laguna. Ad esempio, da circa un
lustro ogni stagione viene presentata, per dieci repliche sempre esaurite, La
Traviata di Verdi. In questa ottica, si avventura ogni anno su
sentieri che altri teatri scansano. Uno di questo è il grand-opéra francese di
cui ha presentato, il 23 novembre in una serata di gala fuori abbonamento per
l’inaugurazione della stagione, L’Africaine di Giacomo Meyerbeer.
Ci sono due temi fondanti insoliti
per l’epoca nella quale il lavoro vene concepito: femminismo ed anti-razzismo
È opera
lasciata incompiuta da Meyerbeer alla propria morte (dopo averci lavorato
vent’anni) ed è l’ultimo esempio del grand-opéra francese, a cui seguì,
senza grande successo, un grand-opéra padano di cui si rappresenta
ancora solamente La Gioconda di Amilcare Ponchielli. Completata da
un buon mestierante (di cui, però, Giuseppe Verdi aveva molta poca stima)
François-Joseph Fétis. che la scorciò e rimaneggiò non poco, l’opera ebbe norme
successo nella seconda metà dell’Ottocento (solo a Venezia si contano quasi
sessanta repliche tra il 1878 ed il 1993, seguito da un lungo oblio e da rare
riprese dopo la seconda guerra mondiale. La messa in scena comporta
problemi scenici e vocali non semplici: frequenti cambiamenti di ambiente tra Europa,
Oceania e Indie, un ruolo scritto per un mezzosoprano che deve giungere ad
acuti impervi, un tenore spinto, ben 13 solisti, coro e corpo di ballo.
La
drammaturgia di Leo Muscato mostra che, sotto un vicende storico
sentimentali da film Anni Cinquanta, ci sono due temi fondanti, insoliti per
l’epoca 1840-1865 in cui il lavoro vene concepito: femminismo ed anti-razzismo.
Le due protagoniste femminili (la portoghese Inès, Jessica Pratt, e l’indiana
Sélika, Veronica Simeoni), pur rivali nell’amore dello stesso uomo (Vasco de
Gama, Gregory Kunde) annichiliscono il protagonista maschile e sconfiggono sia
il Gran Consiglio di Lisbona sia la corte Brahminica. Razzismo e colonialismo
vengono poi denunciati senza alcuna remora (nonostante si fosse all’epoca
bismarckiana degli Imperi extra-europei ). Le scene di Massimo Cecchetto ed i
video di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii utilizzano una pedana,
attrezzeria e molta tecnologia (filmati anche delle Guerre d’Africa del 1911 e
del 1936 e proiezioni su colonialismo ancora ai nostri giorni). Vengono creati
effetti speciali da film spettacolare. La partitura, quale completata dal
buon Fétis, è accattivante e di facile presa sul pubblico dell’Impero
(maschilista, razzista e colonialista). È un compendio dell’opera francese
della prima metà dell’Ottocento al 1865, ossia dai lavori con una forte
influenza rossiniana alla tragédie-lyrique, al grand-opéra ai prolegomeni
dell’opéra-lyrique di Gounod. A differenza di altri lavori di Meyerbeer
che, pur se berlinese, giganteggiava a Parigi (con, ad esempio, Le Prophète),
manca di coesione. Ottimi i tredici interpreti vocali (con applausi a scena
aperta ai tre protagonisti ed ovazioni finali a tutta la compagnia). La
direzione musicale di Emmanel Villaume, pur specialista di questo tipo di
lavori, è parsa, il 23 novembre, un po’ esangue e priva dei colori
orchestrali che richiederebbe un’impresa del genere.
© Riproduzione riservata
di Elena Filini
Jessica
Pratt è una beniamina della scena lagunare. Il popolo della Fenice la ama,
ricambiato dalla giovane diva australiana. Quando il teatro veneziano le ha
proposto il ruolo di Ines nell’Africaine di Giacomo Meyerbeer, titolo
d’apertura della stagione 2013-14, da 43 anni lontano dalle scene italiane, non
ha avuto alcun dubbio. Anche se quello di Ines è un ruolo cammeo. E così
Jessica, diva emergente del belcanto e primadonna contesa nei maggiori teatri
italiani, ha affrontato la lunga preparazione ricamando. «Solo all’apparenza
può sembrare strano – spiega la cantante nel giorno che precede l’alzata del
sipario – tutte le grandi cantanti dal Barocco all’Ottocento erano solite
ricamare come antidoto alla tensione e alle lunghe attese della vita teatrale».
Il favoloso costume disegnato per Jessica da Cralo Tieppo è impreziosito da
ricami orginali fatti a mano dal soprano australiano. «È una cosa stimolante e
nello stesso tempo rilassante».
Come si è
accostata alla partitura di Meyerbeer?
«Mettere in scena un grand-opera oggi non è facile. Però l’orchestra ed il direttore hanno lavorato sulla trasparenza e dunque siamo stati tutti molto felici dell’equilibrio buca/scena. Il mio ruolo non è di primo piano, e questo per la mia attività è piuttosto insolito. Tuttavia nell’ouverture ci sono tutti i miei temi e poi Mayerbeer ha scritto una deliziosa aria per il mio personaggio, nella quale il concertatore Emmanuel Villaume mi ha consentito di inserire una cadenza personale, in cui ho modo di mettere in luce la mia vocalità».
«Mettere in scena un grand-opera oggi non è facile. Però l’orchestra ed il direttore hanno lavorato sulla trasparenza e dunque siamo stati tutti molto felici dell’equilibrio buca/scena. Il mio ruolo non è di primo piano, e questo per la mia attività è piuttosto insolito. Tuttavia nell’ouverture ci sono tutti i miei temi e poi Mayerbeer ha scritto una deliziosa aria per il mio personaggio, nella quale il concertatore Emmanuel Villaume mi ha consentito di inserire una cadenza personale, in cui ho modo di mettere in luce la mia vocalità».
Qual è il
pregio di questo allestimento?
«Credo sia quello di rendere molto leggibile la vicenda, di proporla in modo accessibile per il pubblico non specialistico. Su questo il regista Leo Muscato ha fatto un lavoro di grande valore».
Qual è stato
il valore aggiunto di questa produzione?
«Il cast. Grandi professionisti ed un fuoriclasse, Gregory Kunde. Lavorando fianco a finaco con questo grandissimo tenore si capisce che il lavoro e lo studio contano moltissimo però per essere un vero fuoriclasse deve esserci un talento vocale straordinario. Che generalmente si accompagna ad un’intelligenza umana molto spiccata, ad un rispetto degli altri superiore alla media. Lavorare con lui mi ha davvero ispirata».
Quali i
prossimi titoli a Venezia?
«Tornerò nel 2014 con Don Giovanni, dove imeprsonerò Donna Anna. E poi, nel 2015, il debutto come giulietta in Capuleti e Montecchi. Non vedo l’ora!».
©
Riproduzione riservata
Nessun commento:
Posta un commento