mercoledì 13 novembre 2013

Moderato elogio del reddito minimo a 5 stelle proposto da Grillo in Formiche 10 novembre



Moderato elogio del reddito minimo a 5 stelle proposto da Grillo
10 - 11 - 2013Giuseppe Pennisi Moderato elogio del reddito minimo a 5 stelle proposto da Grillo
In una visione ‘laica’ della politica occorre evitare di non dare attenzione alle proposte che vengono da soggetti che, per un motivo o per l’altro, sono considerati “anti sistema”. Dei circa 3000 emendamenti presentati al disegno di legge di stabilità, uno dei più intelligenti viene dal Movimento 5 Stelle (M5S). E’ doveroso darne atto. Lo ha già notato Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera del 10 novembre. Ferrera è studioso attento dello Stato sociale e veterano di Commissioni governative per riformarlo. Ferrera, però, non ne coglie tutte le implicazioni, politiche e di finanza pubblica. Quindi, è opportuno aprire un dibattito.
L’emendamento è quello relativo al “reddito di cittadinanza”, nome assolutamente non appropriato in quanto l’emendamento (molto dettagliato) riguarda il reddito minimo per i poveri e gli incapienti. E’, in effetti, una radicale modifica in senso liberale della spesa sociale. Accantonare l’emendamento perché presentato dall’opposizione vorrebbe dire buttare via il bambino con l’acqua sporca. Si farebbero due gravi errori. In primo luogo, si perderebbe l’occasione di tendere un ramoscello d’ulivo per portare  il M5S nell’arco “parlamentare tradizionale”: obiettivo importante in quanto nessun soggetto politico può governare l’Italia senza l’apporto di un movimento che rappresenta un quarto dell’elettorato. In secondo luogo, la proposta può essere il grimaldello per riorganizzare lo Stato sociale secondo linee anticipate da Tittmus già negli Anni Settanta, oggetto di un vasto studio (a cui partecipò l’allora giovane Ferrera) dell’Istituto universitario europeo negli Anni Ottanta e riprese dall’Alta commissione dell’Unione Europea sull’esclusione sociale di cui feci parte negli Anni Novanta (nome roboante ma poteri nulli).
In breve, la scuola “welfarista” che ha portato all’attuale configurazione dello Stato sociale e della spesa pubblica ad esso attinente – ed alle caratteristiche ‘particolaristiche-clienterali’ di quello italiano, secondo uno studio ancora fondamentale che Ferrera pubblicò alla metà degli Anni Ottanta – ha creato un sistema che favorisce non i poveri e gli incapienti ma varie categorie del ceto medio, dissipando, sovente, risorse.
La proposta M5S (non priva di dettagli tecnici discutibili) ha il merito di proporre un approccio non welfarista ma rawlsiano (dal nome del filosofo di Baltimora, grande docente a Harvard, John Rawls). Ossia di rovesciare il metodo: applicare il concetto (e l’equazione matematica) di “maximin” (massimizzare il benessere di chi è effettivamente più debole ed in maggior stato di bisogno) e lasciare il resto della società al funzionamento del mercato. E’ un approccio, al tempo stesso, radicale e liberale che alcuni economisti hanno proposto anche per la valutazione economico-sociale dei maggiori comparti di spesa pubblica a cominciare da quelli in conto capitale. Speriamo che Carlo Cottarelli ne tenga conto nella spending revew.
Il “reddito minimo” per i più poveri (questo è il vero contenuto della proposta M5S) può prendere varie guise: da imposta negativa sul reddito a vouchers a chi è al di sotto di quello che gli economisti chiamano ‘il livello critico di consumo ’ (i consumi della fasce che non ricevono sussidi né pagano imposte e tasse oppure i cui consumi equivalgono al pagamento di tasse ed imposte).
La proposta M5S va in questa direzione e dovrebbe essere presa in seria considerazione sia dal Parlamento sia dall’Alleanza contro la povertà in Italia che nasce a Roma l’11 novembre, promossa dalle Acli e da una ventina di associazioni di soggetti pubblici, privati e del terzo settore.
L’articolato presentato ha numerosi difetti (regole d’accesso che tengono conto del reddito ma non del patrimonio, un’amministrazione macchinosa e farragginosa, un costo eccessivo). Rappresenta, però, la prima proposta nella “giusta direzione” (direbbero gli anglosassoni) che giunge in Parlamento dall’inizio degli Anni Novanta (tentativi in questo senso vennero fatti , senza esito, negli Anni Ottanta).

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