OPERA/ Ernani di Giuseppe Verdi, inaugurata la stagione romana
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Ernani a Roma
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La sera del 27 novembre, alla presenza del Capo dello Stato, al Teatro
dell’Opera di Roma, si è finalmente alzato il sipario su Ernani di
Giuseppe Verdi, opera inaugurale della stagione 2013-2014 e conclusione, al
tempo stesso, di un anno dedicato in gran misura al bicentenario dalla nascita
del compositore. Scrivo ‘finalmente’ perché in seguito a complicate vicende
relative ai finanziamenti della fondazione ed alla minaccia di uno sciopero da
parte delle maestranze artistiche e tecniche del teatro. Lo sciopero non c’è
stato, ma ‘lo stato d’agitazione’ continua e potrà avere implicazioni sul resto
della stagione.
Questa testata ha trattato di Ernani una decina di giorni
fa per presentare l’opera, non ho delle più frequentemente rappresentate del
catalogo verdiano, e dare conto di recenti produzioni a Palermo e Bologna. A
Roma mancava dal 1989, quando era stata presentata, peraltro senza grande
successo, in un allestimento del 1978 e concertata da Giuseppe Patanè.
In questa recensione, mi concerno sugli aspetti strettamente
musicali del lavoro e della recente edizione che resterà in scena sino al 14
dicembre al Teatro dell’Opera. In primo luogo, è utile ricordare quanto ha
scritto il musicologo britannico Roger Parker, uno specialista verdiano,
distinto e distante dalle ‘scuole italiano’ che spesso esaltano il compositore
ponendolo in una luce risorgimentale. Parker nota acutamente, che il soggetto
non venne scelto da Verdi ma dal Teatro La Fenice, sull’onda del grande
successo (europeo, non solo francesi) della ‘tragedia in cinque anni’ Hernani
di Victor Hugo. Dopo Nabucco ed I Lombardi alla Prima Crociata ambedue
composti su commissione del Teatro alla Scala, Verdi lavorava per un teatro più
piccolo e su un palcoscenico più piccolo della massima scena milanese. Quindi,
si concentrò più che sul contesto storico ed i frequenti cambiamenti di
ambiente, ‘sui conflitti personali, controllando con cura la complessa
sequenza di azioni necessarie per portare i personaggi ad intensi confronti-scontri’.
Questo aspetto su cui varrebbe la pena riflettere in una nota diretta
specificatamente alla regia ed agli aspetti scenico-drammaturgici dello
spettacolo, comporta modifiche agli stilemi del melodramma a numeri chiusi
prevalente in Italia nel 1830-40: le arie solistiche si espandono e si
arricchiscono , i duetti ed i terzetti diventano più complessi , i nessi che
legano i singoli ‘numeri musicali diventano più flessibili e meno legati alla
poetica allora prevalente. In questo contesto, Ernani è forse la prima
opera verdiana in cui l’attenzione del compositore, che lavoro molto al
libretto, si incentrò più su intere scene che su singoli ‘numeri’, il passaggio
fondamentale per giungere dieci anni più tardi alla trilogia popolare
(Rigoletto, Il Trovatore, Traviata). Un ultima notizia essenziale per
comprendere il contenuto musicale di Ernani : al triangolo
tradizionale tenore, soprano, baritono, Verdi aggiunge un ruolo da protagonista
per il coro, che diventa particolare vibrante in Si ridesti in Leon di
Castiglia (diventato spesso Si ridesti il Leon di Venezia) dopo
la seconda guerra d’Indipendenza.
Ernani è indubbiamente opera molto amata da Riccardo
Muti. Se ben ricordo la scelse per il suo debutto al Maggio Musicale fiorentino
nel lontano 1972 e la propose più volte alla Scala. Con il passare degli anni,
pure il suo approccio alla partitura è mutato, pur mantenendo una costante:
grande attenzione alla ‘concertazione’ delle voci (i quattro protagonisti ed il
coro) supportandole con una pulsazione ritmica estremamente dinamica, spesso
fondata su temi di danza. Ciò permette di accentuare l’intimismo del lavoro.
Dal 1972 ad oggi , l’accento si è spostato dal confronto tra la baldanza
giovanile del protagonista, la maturità di Re Caro (Imperatore al terzo atto) e
la vendicativa rancorosa senilità di Silva ad uno sguardo (musicale) più sereno
sulla complessità dei rapporti umani. Ciò spiega anche i tempi dilatati nel
secondo atto. Muti coglie anche l’occasione nel fare avvertire echi, oltre che
donizettiani, rossiniani nella scrittura musicale del trentenne Giuseppe Verdi.
Tra le voci eccellono il coro (diretto da Roberto Gabbiani) – che
ha bissato Si ridesti in Leon di Castiglia) ed i tre protagonisti
maschili. Dalla ‘cavatina’ (aria di introduzione) Mercé, diletti
amici si avverte che Francesco Meli, con la sua estrazione
‘belcantistica’, ha la vocalità esatta per un ruolo troppo spesso affidato a
tenori ‘spinti’. Ottimo Luca Salsi (Carlo) il cui Oh de’ verd’anni
miei, intriso di melanconia per la fine della giovinezza, ha meritatamente
suscitato lunghi applausi a scena aperta. Di grande livello Ildar Abrazakov
nell’impervio ruolo di Silva. Tatiana Serjan era Elvira. A mio avviso, è
un grande soprano drammatico per un ruolo che richiede un soprano di agilità. E
lo si avverte sin dall’ Enani…Ernani involami.
Ovazioni e grande successo.
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