VERTICE UE/ Letta fa il De Gaulle e "batte" la Germania
Pubblicazione: lunedì 28 ottobre 2013
Enrico Letta e Angela Merkel (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
Occorre dare atto al Governo Letta
di essere riuscito a portare a termine una “missione impossibile”: dai tempi
del Generale De Gaulle (ossia dalla preistoria dell’Unione europea) non
avveniva che i Capi di Stato e di Governo modificassero in modo fondamentale,
nel corso di un vertice, il comunicato predisposto con paziente e lungo lavorio
dalle Cancellerie degli Stati membri. Il programma stesso dei lavori del
Consiglio europeo, come mostrato dalla lettera del 22 ottobre di
Herman Van Rompuy, prevedeva unicamente uno “scambio di vedute” sui temi
dell’immigrazione nella seconda parte della mattinata di venerdì 25 (dopo che
il pomeriggio e la sera del 24 si sarebbe discusso di crescita, agenda digitale
e tecnologia e nella prima della mattinata di occupazione). A rendere il quadro
ancora più complesso, l’esplodere del nodo delle intercettazione telefoniche da
parte dei servizi segreti americani (ma cosa ha fatto per tutti questi anni il
controspionaggio degli Stati europei? Accumulato prebende dormendo sonni
profondi?) ha stravolto il programma dei lavori. Con abilità, però, Letta e
Saccomanni hanno riportato il tema della “solidarietà europea” in materia di
immigrazione al centro della seconda giornata giungendo a un calendario preciso
(e - quel che più conta - realistico): un’analisi della situazione entro il
prossimo Consiglio europeo da tenersi a dicembre e una proposta di politica
comune entro il giugno 2014, dopo le elezioni del Parlamento europeo e prima
che la presidenza dell’organo venga assunta dall’Italia.
L’unico corso di giornalismo che ho
preso (nel 1967-68 al Sais di Washington) è stato impartito dal mitico Benjamin
Bradlee, a lungo direttore del Washington Post, e avevo come collega e
amico di sempre il parimenti mitico Phil McCoombs, Premio Pulitzer per le corrispondenze
dal Vietnam (dove è riuscito a scappare da una prigione Viet-Cong). Quindi, non
sono uso a fare sconti a Governi in carica nella convinzione che la funzione
sociale dei media sia quella di esercitare analisi e critica. Ho espresso,
prima del vertice, dubbi che la delegazione italiana sarebbe riuscita a
ottenere anche soltanto una discussione seria del tema dell’immigrazione.
Dobbiamo rallegrarci dell’abilità, e scaltrezza, mostrata da Letta e
Saccomanni. È stata possibile perché questa volta “tutti gli uomini del
Presidente” hanno lavorato all’unisono.
È un successo tanto più importante
perché negli altri temi all’ordine del giorno del vertice o non si sono fatti
progressi o si sono fatti passi indietro. Poco o nulla si è concluso in materia
di agenda digitale: l’argomento al primo punto dell’ordine del giorno è stato
travolto più di tutti gli altri dallo scandalo delle intercettazioni, dato che
è difficile andare verso un mercato unico e abolire il roaming se tutti temono
che le spie in agguato vengano facilitate da liberalizzazioni.
Il dibattito sulla crescita ha
riguardato soprattutto la lettera del Cancelliere Merkel con indicazioni
giuridiche puntuali su come emendare il Protocollo N. 14 del Trattato di
Maastricht per rendere più cogenti i “contractual arrengements” tra gli Stati
membri (sia tra di loro, sia tra loro e l’Ue) per mantenere in pareggio i
bilanci e giungere a un debito pubblico che non ecceda il 60% del Pil. La
“grande coalizione” che si sta mettendo a punto nella Repubblica Federale
indurisce e non rende più morbida la posizione tedesca.
In primo luogo, gran parte delle
riforme attuate in Germania (e, secondo i tedeschi, non realizzate negli Stati
europei a forte debito e bassa competitività) sono frutto del lavoro dei due
governi Schröder dal 1998 al 2005; i socialdemocratici rivendicano la
“primogenitura riformatrice”. In secondo luogo, il “blocco sociale” su cui più
è gravato il costo delle riforme è quel ceto medio basso impiegatizio e operaio
rimasto fedele al partito (nonostante il tracollo dei consensi) che più di
altre parti dell’elettorato tedesco non vede affatto bene che i loro sacrifici
vadano a beneficio di chi, a torto o ragione, considerano lasco. In terzo
luogo, al tavolo del negoziato per la “grande coalizione” i socialdemocratici
hanno chiesto che il ministero dell’Economia (ampliato nelle competenze sino a
comprendere infrastrutture e ambiente - e, quindi, rafforzato) vada a un loro
esponente di punta; ciò li porrebbe al centro della politica europea.
Infine, l’unione bancaria deve
considerarsi accantonata poiché è difficile concepirla senza una garanzia
europea sui depositi e una strategia europea per le crisi più severe di
istituti - due punti su cui la “grande coalizione” che si sta formando a
Berlino è irremovibile.
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