mercoledì 30 ottobre 2013

Legge di stabilità e le preoccupazioni degli italiani in L'Indro 29 ottobre

La sfida della riduzione dei costi






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Giuseppe Pennisi
Martedì 29 Ottobre 2013, 10:05

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bicameralismocostilegge di stabilitàmagistratura amministrativa



La Legge di Stabilità è all’esame del Senato. Ed i giornali sembrano avere relegato alle ultime pagine della sezione ‘politica’ le vicende ad essa attinenti. In effetti, ad un esame tecnico ciò che si comprende sono solamente due aspetti: a) l’aumento delle entrate supera la riduzione delle spese (quindi, di riffa,di raffa o di baracca, se approvata tale e quale varata dal Consiglio dei Ministri, il ‘Grande Fratello’ metterà le mani nelle tasche degli italiani; b il documento è così carente che il Parlamento deve esserci mano anche solo perché ciascun cittadino comprenda cosa ci guadagna e cosa ci perde.
Le Camere hanno, quindi, un lavoro difficile e complesso. Mi sono chiesto cosa dovrebbe esserci nella legge (fatti salvi gli impegni con l’Unione Europea) qualsiasi altra cosa ci sia . È un po’ il problema rawlsiano della identificazione dei “beni primari” (ciò che tutti vogliono qualsiasi altra cosa essi vogliano) nella “Teoria della Giustizia” del lontano 1971. Riprendendo in mano la letteratura sulla crescita economica degli ultimi vent’anni ci si accorge che c’è un filone comune: crescono i Paesi e le regioni con i costi di transazione più bassi, ossia quelli ove le transazioni possono essere fatte pagando meno in procedure, bolli e quant’altro e dove, quindi, c’è una forte fiducia reciproca, essenziale per effettuare transazioni senza troppi marchingegni che ne aumentano il costo. È questo il filo conduttore nel rigoglio di nuovi approcci (molti ancora in nuce, alcuni a livello solo teorico ed altri ancora non molto più di uno slogan o di mera affabulazione). Ciò implica il rilancio del neo-istituzionalismo, utilizzando, però, i metodi quantitativi d’analisi sviluppati nei decenti precedenti.
È il nesso che collega le teorie dello sviluppo endogeno a quelle basate sull’applicazione della teoria economica dell’informazione allo sviluppo, a quelle ancora ancorate all’analisi dei costi economici e politici di transazione, alla revisione di alcuni paradigmi di base dell’economia internazionale, all’utilizzazione, a fini esplicativi, di alcuni paradigmi tecnico-economici derivanti dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ad esempio, sono marcatamente e chiaramente neo-istituzionalisti i concetti di fondo degli ultimi “World Development Reports” con i quali si cerca di sistematizzare il fiorire di nuovi approcci. È anche neo-istituzionale il concetto di “social capital”, inteso come il complesso di norme e di reti che consentono agli individui di agire collettivamente. Siamo alle prese – dice acutamente O.E. Williamson – con un “calderone di idee”, molte in competizione le une con le altre, sia in materia di storia economica e sviluppo di norme sociali e quindi di capitale sociale sia in materia di costi di transazione, sia nel campo della comprensione e modellizzazione dei rapporti semi-contrattuali informali sia in quello dell’economia evoluzionaria.
Pure un concetto di base sia alle teorie dello sviluppo endogeno sia ai vari filoni dell’economia neo-istituzionale, quale quello del “sentiero pre-determinato” (“path dependence”), viene interpretato in modo giustapposto e divergente dalle varie scuole di pensiero. Ciascuna di esse, infine, pare seguire un proprio filone distinto di analisi e ricerca nell’ambito di una vasta area neo-istituzionale interdisciplinare in cui gli strumenti dell’economista devono fondersi con quello dello scienziato della politica, dello storico, dello psicologo e dell’esperto in problemi dell’amministrazione e della gestione. Un filone, paradossalmente, particolarmente consono alla formazione interdisciplinare del giornalista economico.
Ma torniamo a come ridurre i costi di transazione che in Italia sono più alti che negli altri Paesi dell’eurozona e di buona parte dei Paesi Ocse. Non basta costituzionalizzare che è lecito tutto ciò che non è vietato per legge. Occorre: a) costituzionalizzare che tutte le leggi (e regolamenti e circolari varie) siano “a termine” (una “sunset regulation” generalizzata) per impedire il formarsi di un Himalaya di norme; b) dimezzare il numero degli eletti (a tutti i livelli); c) mettere in soffitta il bicameralismo; e d) incidere sui comportamenti di individui, famiglie, imprese, pubblica amministrazione e politica. Douglas Cecil North ha preso il Nobel per avere dimostrato non solo che è possibile ma che negli ultimi cinquecento anni chi lo ha fatto è corso più rapidamente degli altri. Sotto il profilo teorico lo si ottiene con “giochi ripetuti” in modo che tutti si abituino a seguire le stesse regole - se possibile quelle di chi è più produttivo e più competitivo. Naturalmente i punti b) e c) richiedono una revisione della Costituzione, ma il punto a), a qual che io capisca di diritto, puo ben essere effettuato con legge ordinaria come quella ‘di stabilità’.
Senza una drastica riduzione dei costi di transazione, qualsiasi altra misura presente nel decreto sviluppo, non riuscirà a mordere. In Italia i costi di transazioni tra privati sono i più elevati nei Paesi Ocse: basti pensare al costo per la compravendita di un’auto o di un appartamento. Elevatissimi quelli tra imprese a ragione di una regolazione ferraginosa. Fortissimi i costi di transazione politici caratterizzati da alte asimmetrie informative e posizionali, tali da creare un’elevata avversione al rischio e a frenare l’innovazione. A questi costi di transazione, si aggiungono quelli connessi al cattivo funzionamento della giustizia: si legga l’University of Chicago Public Law Working Paper n. 223 (relativo unicamente alla magistratura amministrativa), diramato in questi giorni, per rendersene conto.
Una strada di piccoli passi, come suggerita da molti che di tali alti costi di transazione traggono vantaggio, non porterebbe a nulla; si avviterebbe su se stessa. Ci vuole una terapia d’urto. Da un lato, seguire quella quarantina di Paesi che hanno già introdotto (spesso con rango costituzionale) norme secondo cui leggi e regolamenti posso restare in vigore non più che un determinato numero di anni (“sunset regulation”). Da un altro, riformare drasticamente la giustizia imponendo tempi brevi per i procedimenti, sanzioni a chi supera la media Ue nei procedimenti civili, chiara differenziazione tra inquirenti e giudicanti.
Ed i costi di transazione connessi alla magistratura amministrativa? Quando nel maggio 1944 al Gen. Mark Clark  Patton venne spiegato cosa era e come funzionava, disse: “probabilmente sono ottime organizzazioni ma negli Usa non ce le saremmo potute permettere e pure vincere la seconda  guerra mondiale”. Non ci proponiamo di vincere alcuna guerra, ma più modestamente di fare sì che l’Italia torni a crescere a quel 1,3-1,6% l’anno che data la struttura demografica e l’assetto produttivo sembra essere il suo ‘tasso naturale di sviluppo’.



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