La concorrenza delle low cost
I cieli difficili di Alitalia
Tra obiettivi non raggiunti e una nuova statalizzazione
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Di Giuseppe
Pennisi
Nel 2012 gli
scali aeroportuali italiani hanno registrato meno passeggeri, in arrivo e in
partenza, rispetto al 2011 (-1,3%). Ma per il complesso delle compagnie aeree,
italiane e straniere, la percentuale di passeggeri che utilizza voli low cost è
pari al 46%, ma scende al 28% se si considerano solo le linee aeree italiane.
Quindi, se si guarda alla ripartizione del mercato italiano tra compagnie
aree tradizionali e low cost, nel totale risulta che a fronte del 46% dei
passeggeri trasportati su voli low cost c’é un 54% che usa i vettori
tradizionali. Mentre, focalizzando l’analisi solo sulle linee italiane, per
un 28% che ricorre a voli low cost c’é un 72% che preferisce le compagnie aree
tradizionali. Inoltre per il complesso delle compagnie aeree, italiane e
straniere, tra il 2003 e il 2011, la quota dei passeggeri trasportati su voli
low cost sia raddoppiata, passando dal 23% al 46% Colpa della crisi? O
dell’alta velocità ferroviaria?
Cosa è
avvenuto in questo contesto alla nuova Alitalia, nata cinque anni fa,
dopo una lenta, confusa e tardiva privatizzazione di Alitalia, una “delayed
privatization” secondo la brillante definizione di un documento della Banca
d’Italia. Nei dieci anni precedenti la denazionalizzazione, tenere in vita il
vettore “di bandiera” con varie alchimie finanziarie e forti sostegni pubblici
è costato ai contribuenti 4 miliardi di euro; a questa cifra occorre
aggiungere i 2,3 miliardi di euro per lo scorporo delle attività poste in
liquidazione dal Commissario Straordinario da quelle cedute ai nuovi azionisti.
Pochi mesi dopo, l’avvio della nuova azienda, un economista particolarmente
attento al settore, Andrea Giuricin, preconizzava che prima o poi la
“privatizzazione infinita” di Alitalia si sarebbe conclusa con una nuova
nazionalizzazione, nel senso la compagnia sarebbe diventata una filiale di
AirFrance-Klm, che è, di fatto, controllata dall’azionista pubblico. Dal nostro
punto di vista , è indifferente se l’azionista di riferimento sia italiano o
straniero – quel che conta è l’efficienza, l’efficacia, la competitività e la
qualità del servizio. Non è, però, indifferente se esso sia emanazione di uno
Stato (italiano o straniero) e considerazioni non economiche (e non inerenti a
efficienza, efficacia, competitività e qualità del servizio) incidano nelle
strategie aziendali e nella gestione dell’intrapresa.
Nel 2010, la
prima “relazione semestrale” del management al Consiglio d’Amministrazione
della nuova Alitalia ha fatto pensare che i pronostici di Giuricin fossero
corretti ed ha lasciato tutti insoddisfatti. Le semestrali successive hanno
confermato, in peggio, le previsioni fatte allora. Nessuna voce si è levata
a mettere in discussione le cifre ed i calcoli presentati semestre dopo
semestre da economisti ed analisti finanziari. Occorre, sottolineare che la
prima “semestrale” riguardava la fase di avvio: non si può chiedere ad un
giovane che comincia a solcare un palcoscenico di essere ingaggiato dall’Old
Vic per essere il protagonista dello shakespeariano “Amleto”. L’aspetto più
preoccupante risultante dal documento è che gli obiettivi posti dallo stesso management
per la fase d’avvio non sono stati neanche sfiorati: rispetto agli
obiettivi, i ricavi sono stati pari a poco più di un terzo, il prezzo medio
effettivo del biglietto a meno del 15%, il “load factor” a meno del 20%.
Differenze tra obiettivi e risultati di queste dimensioni e la probabilità di
un peggioramento dell’Ebit (margine al lordo di tasse ed interessi) di
240 milioni di euro entro fine 2009 non possono non innervosire alcuni soci
dell’impresa e suscitare perplessità sulla capacità del management di portarla
all’approdo auspicato.
La svolta si
sarebbe dovuta verificare già nell’estate 2010 (con l’aumento stagionale del
traffico passeggeri). E’ stata un’estate dura per tutte le compagnie aeree,
tranne alcune low cost: lo documentano le analisi dell’Aita. Per
Alitalia, però, l’estate è stata più dura che per altre aziende di trasporto
aereo a ragione dei ritardi dei voli e del pasticciaccio brutto dei bagagli
smarriti o inviati verso destinazioni differenti da quelle dei passeggeri; in
luglio e soprattutto agosto, questi disservizi hanno riempito le pagine di
giornali italiani e stranieri, dando l’impressione che tutte le responsabilità
fossero di Alitalia (e non anche delle strutture aeroportuali). Come se ciò
non bastasse, nell’impresa tenuta in piedi per miracolo con il gettito fiscale
gravante sulla collettività, ci sono state nuove ondate di scioperi In autunno,
sondaggi d’opinione stimavano un aumento della disaffezione della clientela
(sia passeggeri sia cargo) nei confronti della compagnia.
Sempre in
autunno , la stampa riportava il rischio di tensioni, anche gravi, tra i soci.
Uno dei quali (AirFrance-Klm) avrebbe fatto sapere “off-the-record”
essere in attesa di un miglioramento della congiuntura internazionale (e quindi
dei propri conti) per acquistare l’intera azienda e di farla diventare una sua
sussidiaria. Dal punto di vista del processo di liberalizzazione della
società italiana, tale prospettiva è preoccupante unicamente perché
equivarrebbe ad una nuova, almeno parziale, statalizzazione d’Alitalia.
Potrebbe, però, portare ad una razionalizzazione del sistema aereo europeo
(riducendo e rafforzando i gruppi in grado di affrontare le rotte
intercontinentali), accentuando la concorrenza (se le regole del gioco sono
stabilite, e monitorate, da un ‘autorità indipendente europea) e rendendo, di
fatto, Alitalia il partner per le rotte mediterranee ed orientali di una grande
multinazionale dell’aviazione civile. Ora, ai primi segni di possibile
miglioramento della congiuntura internazionale, AirFrance-Klm rientra in campo
e, scaduto il periodo in cui ci si era vincolati a non vedere le proprie
quote, un numero crescente di ‘ patrioti’ pare pronto a lasciare il campo
ed a passare la mano - o meglio le azioni.
Come avrebbe
dovuto rispondere il management della compagnia alle cifre delle relazioni sui
conti ed alle voci su tensioni all’interno della compagine azionarie? Con un nuovo programma che avesse
obiettivi tecnici e finanziari realistici e che fosse rivolto ai nodi
strutturali: a) l’eterogeneità degli aerei (una delle cause primarie dei
ritardi), b) l’integrazione tutt’altro che facile con AirOne (e la situazione
effettiva di indebitamento ereditato da AirOne); c) i tempi ed i modi per
affermarsi come efficiente ed efficace compagnia nell’aerea europea e
mediterranea, prima, ed avviare una rete intercontinentale, poi.
Risposte
esaurienti a questi interrogativi non sono mai giunte. Nonostante la
nuova Alitalia è parsa fruire di privilegi più o meno indiretti, specialmente
nelle interpretazioni normative dirette ad aumentare i costi e limitare
l’attività delle low cost; il miglioramento della competitività non si
ancora visto, il destino sembra segnato ed avrà indubbi costi occupazionali
(specialmente a Roma) ma nessuno sembra in grado di evitare una vendita a
AirFrance-Klm a prezzi inferiori di quelli che i franco-olandesi avrebbero
pagato cinque anni fa. C’è – è vero – chi spera in un’offerta dagli
Emirati. Allah, però, ha cose più importanti di cui occuparsi.
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