FINANZA/ Ecco la "pistola" dei mercati puntata sul governo Letta
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Il voto di fiducia al Governo Letta e la forte maggioranza (numericamente) a sostegno dell’esecutivo non hanno frenato le voci di una possibile revisione al ribasso delle classificazioni dei titoli obbligazionari dello Stato (e degli enti locali) e, quindi, delle maggiori banche italiane. Sono partiti avvertimenti da Standard & Poor’s prima che Enrico Letta riferisse alle Camere; si pensava che fossero motivati dal timore di una crisi, e più in particolare di una “crisi al buio”. Sono, però, venute indicazioni inquietanti da Moody’s subito dopo il voto di fiducia, quando l’esecutivo è parso saldo in sella come non mai.La settimana si è chiusa senza il temuto declassamento, ma con ratings niente affatto incoraggianti: Baa2 per Moody’s; BBB per Standard & Poor’s; BBB+ per Fitch; Alow per Dbrs. Per le quattro agenzie di rating, inoltre, l’outlook (prospettiva) è “negativo”. Conversazioni con alcuni dei loro esperti danno l’impressione che non si creda alla stabilità di un Governo i cui partner si sono urlati per vent’anni le peggiori cose e in cui il leader di uno dei maggiori azionisti della coalizione viene espulso dal Parlamento senza avere la possibilità di difendersi (per scelta propria o altrui).
Soprattutto, però, pochi italiani si sono accorti che proprio nei giorni in cui il Parlamento si apprestava ad ascoltare la relazione di Letta e a votare su di essa, il Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale tedesca chiedendo se sono in linea con il Trattato di Maastricht le Omt (Outright Monetary Transactions), lo strumento di cui la Banca centrale europea (Bce) dovrebbe disporre per acquistare titoli di debito sovrano di paesi verso cui si accaniscono i mercati. Sino a quando la Corte non emette una sentenza, le Omt restano un’arma spuntata; potrebbe restarlo molto a lungo se - come si mormora a Karlsruhe - l’orientamento fosse “pilatesco”: affermare che le Omt sono “ammissibili” se ciascuna emissione viene approvata dal Parlamento della Repubblica federale e, indi, da quello europeo. In pratica, renderle non operative.
In un’intervista al Financial Times, Jens Weidmann ha affermato che se i titoli di Stato sono considerati “a rischio” (e ricevono una bassa classificazione dalle agenzie di rating) le banche (i cui portafogli ne sono pieni) non devono contabilizzare al valore nominale, ma a quello “di mercato” scontato per l’elemento “rischio”; quindi, un giudizio negativo su Btp e simili si ripercuoterebbe a cascata su tutto il sistema. Si troverebbe immediatamente in grosse ambasce il Monte dei Paschi di Siena. Soprattutto, ciò inciderebbe pesantemente sui conti di individui, famiglie e aziende, che, anche in seguito a indicazioni delle autorità di governo (quale che ne fosse il colore politico) hanno riacquistato parte del debito pubblico nelle mani di operatori stranieri e ora ne detengono il 70% del totale.
I loro portafogli, infatti,
subirebbero un deprezzamento. Rendendo più difficile l’aumento dei consumi e
degli investimenti per avviarsi sulla via della ripresa. Per i conti pubblici,
scatterebbe una trappola: da un lato, aumenterebbe lo spread; da un
altro, il Tesoro avrebbe maggiori difficoltà a rifinanziare debito posto sul
mercato da individui, famiglie e imprese per timore di un deprezzamento (si
parla di un potenziale di vendite sino a 400 miliardi).
In questo quadro, è naturale che chi
ha il compito di “dare voti” al valore dei titoli, consideri quelli italiani
“sorvegliati speciali”. Se il Governo Letta non avesse ricevuto un ampio voto
di fiducia, è probabile che il “declassamento” sarebbe già avvenuto o starebbe
per avvenire. La sera del 4 ottobre c’è stata una gran suspense sino a quando è
scattata l’ora della chiusura per i mercati europei.
È molto probabile che “le
osservazioni” continuino sino al 15 ottobre, ossia fino alla presentazione del
disegno di legge di stabilità, l’analisi delle cui misure è essenziale per
esprimere una valutazione sull’affidabilità dell’Italia. I mercati si aspettano
una riduzione del cuneo fiscale (e della tassazione in generale), una seria
revisione della spese e misure per incidere sullo stock del debito pubblico. Ma
dov’è Mandrake?
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