PRIVATIZZAZIONI/ Così Telecom e pensioni fanno "saltare" il piano
di vendite
Pubblicazione: lunedì 21 ottobre 2013
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Le privatizzazioni sono belle ma
sono scomode. Mi scuso di
prendere in prestito il titolo di un capolavoro di umorismo (La guerra è
bella ma è scomoda, vintage 1929, frutto della felice collaborazione tra lo
scrittore Paolo Monelli e il disegnatore Giuseppe Novello), ma quel volume mi è
venuto immediatamente alla mente (nella prima edizione in brossura con
copertina verde quale era nella biblioteca dei miei nonni) appena il Presidente
del Consiglio ha annunciato, dagli Stati Uniti, una nuova ondata di
privatizzazioni.
L’annuncio è musica di alta classe
per le orecchie di liberali e anche di liberal-socialisti. Da tredici anni ho
il compito di scrivere il capitolo sulle privatizzazioni del rapporto annuale
dell’associazione Società Libera. Nella prima puntata, è stato
necessario ricostruire le vicende degli anni Ottanta e Novanta in questa
materia. Nell’ultima, si sono esaminate le privatizzazioni “parlate”, ossia
solo “cincischiate” nel 2012. Non è stata neanche pubblicata la Relazione annuale
sulle privatizzazioni del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) al
Parlamento, un atto amministrativo dovuto; l’ultima risale al settembre 2011.
Occorre dire che il Parlamento non
se n’è preoccupato più di tanto: non si registra una sola interrogazione in
materia. Nell’anno e mezzo in cui l’Italia ha avuto un Governo “tecnico”
(presieduto da Mario Monti), che pur ha proposto un programma di dismissione
graduale del patrimonio immobiliare pubblico, una sola privatizzazione è
stata “decretata”: quella dell’Unione nazionale degli ufficiali in congedo
d’Italia (Unici) con 35mila iscritti e una manciata di dipendenti (che si
occupano principalmente di attività turistiche e sportive dei soci del
sodalizio). Non è stata, però, realizzata poiché non si riuscivano a collocare
sei dipendenti ed è intervenuto lo scioglimento delle Camere.
Negli ultimi cinque mesi (Governo
Letta), è stata, di fatto, nazionalizzata la Ansaldo Energia, si sta
modificando la normativa sull’Opa e sulla golden power per impedire che
Telecom finisca sotto il controllo dalla “cugina spagnola” e si stanno mettendo
a rischio 75 milioni di euro di risparmi degli italiani in un nuovo tentativo
di “salvataggio” di Alitalia oppure (se si vuole) per una cura ricostituente
perché la scassata compagnia di bandiera venga comprata da Air France-Klm a un
prezzo più elevato delle ultime valutazioni (tra uno e 50 milioni di euro,
aerei e uniformi incluse).
In questo quadro non certo
privatizzatorio, le intenzioni del Presidente del Consiglio sono un’ottima
notizia. Sempre che si voglia portarle avanti nonostante l’attuazione comporti
una buona dose di scomodità. Un documento della Fondazione Astrid Valorizzazione
e Privatizzazione del Patrimonio Pubblico fornisce stime interessanti: la
quota Snam detenuta dalla Cassa depositi e presiti potrebbe valere attorno a
2,9 miliardi di euro, quella di Terna 1,5 - un totale, quindi, di 4,4 miliardi.
Aggiungendo l’Eni si arriverebbe a 17 miliardi. Se si volesse operare alla
grande e il mercato recepisse anche aziende non quotate (Anas, Enav, Eur,
Ferrovie, Invitalia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Poste Italiane e
la stessa Cdp) si potrebbero aggiungere altri 30 miliardi e sfiorare i 50
complessivi. A cui aggiungere il patrimonio immobiliare (dalle caserme dismesse
agli edifici di Province e tribunali in chiusura).
Sorgono due domande. Dove sono i
capitali pronti ad affluire verso un’Italia considerata in fondo alla
classifica (75sima all’ultima conta) del Doing Business della
Banca Mondiale? L’incertezza del quadro regolatorio è l’ostacolo principale: le
modifiche di Opa e golden power proprio mentre l’operazione
Telefonica-Telecom è in corso non inducono certo a incoraggiare potenziali
capitali stranieri. Lo inducono ancora meno le modifiche alle normativa sulla
previdenza (pare che ogni ministro del Lavoro voglia una riforma della
previdenza con il suo nome). Dove sono i manager? Se ci si rivolge ai soliti
noti che hanno una certa responsabilità nello sconquasso attuale, come pensare
di migliorare la situazione?
C'è anche una terza domanda. Per
incidere davvero, le privatizzazioni “scomode” devono riguardare anche il
tentacolare “capitalismo municipale” e “regionale”. In materia verrà detto
qualcosa di liberale? O anche soltanto di liberal-socialista?
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