Ieri 23 agosto è terminata la XXIX Edizione del Rossini Opera Festival, ROF (Pesaro 9-23 agosto. E’ uno dei quattro Festival (dei circa 50 in calendario questa estate in città italiane grandi e piccole) a cui un disegno di legge in preparazione darebbe lo stato speciale di “Festival di interesse nazionale”. E’, come il Festival di Bayreuth dedicato a Wagner e quelli di Torre del Lago e Parma dedicati rispettivamente a Puccini ed a Verdi, un Festival monografico- dedicato quindi ad un unico autore, Gioacchino Rossini. E’ una caratteristica che avevano, alle origini, anche i Festival di Salisburgo, Aix-en-Provence e Glyndebourne: la riscoperta di Mozart i cui capolavori, tranne pochi (ed in versioni mutilate e rimaneggiate), si erano in gran misura persi nei 150 anni in cui il Romanticismo, prima, ed il Verismo, poi, avevano tenuto il genio salisburghese lontano dai gusti del pubblico e, perciò, dai teatri. Mentre i Festival dedicati a Puccini ed a Verdi riguardano autori la cui produzione è, in gran misura, in repertorio in tutto il mondo, il ROF (analogamente ai Festival mozartiani nei loro primi lustri) è, da tre decenni, dedicato alle riscoperte per offrire al pubblico un Rossini differente da quello rimasto sulle scene (sovente con rimaneggiamenti per adeguarlo alle convenzioni dell’epoca durante il Romanticismo ed il Verismo).
L’operazione teatrale, musicologia ed editoriale che il Festival ha portato avanti d’intesa con la Fondazione Rossini e Casa Ricordi, ha fatto sì che buona parte del patrimonio rossiniano sommerso tornasse progressivamente alla luce, ridiventando ricchezza universale. Con la messa in scena l’anno prossimo di “Sigismondo” – opera di cui si ricordano poche rappresentazioni a Savona in un’edizione, però, non basata su una revisione critica- tutto il “Rossini serio” ( di cui esiste un autografo), sarà stato Parallelamente, una scuola di nuovi interpreti vocali, cresciuta attorno all’Accademia Rossiniana del ROF ha diffuso nel mondo, rendendole nuovamente eseguibili, musiche che per la loro difficoltà erano uscite dai repertori. Il ROF ha una struttura leggera e flessibile, capace però di produrre attorno a sé un forte indotto economico, turistico, commerciale e d’immagine: un’indagine del DAMS di Bologna ha valutato in 14 milioni di euro la portata di questo indotto (rispetto ad un costo del Festival di circa 6 milioni di euro l’anno, di cui un terzo coperto da contributi privati e dalla vendita di biglietti. Gli spettacoli sono regolarmente esauriti. Due spettatori su tre sono stranieri; il 12 agosto, alla prima rappresentazione di “Maometto Secondo” ben 36 differenti nazionalità erano presenti in sala.
A Pesaro, si mette in risalto che i bilanci consuntivi vengono regolarmente chiusi in pareggio nonostante al quadro finanziario manca un tassello importante: il 13 agosto 1993 il Parlamento approvò una legge a sostegno del ROF ma il finanziamento è stato ridotto negli anni con conseguenze molto serie per la manifestazione”.
Il ROF 2008 per gli amici è stato inaugurato il 9 agosto con un concerto incentrato su Juan Diego Flçrz (JDF per gli amici) ed intitolato “Il Presagio Romantico). JDF è da dodici anni il maggior esponente della vocalità tenorile adatta ai lavori (non solo rossiniani ma anche belliniani e donizzettiani) del primo scorcio dell’Ottocento. Il concerto era così attesiso che gli sponsor del Festival si sono dovuti accontentare di un passi a testa per la prova generale in quanto i biglietti erano esauriti dalla primavera scorsa. Il concerto è costruito su brani tratti da due opere (“La donna del lago” e “Guillaume Tell”) che precorrerebbero il romanticismo, specialmente a ragione d’una scrittura musicale che enfatizza le descrizioni paesaggistiche. Chiunque abbia letto una vita di Gioacchino Rossini sa che il nostro chiuse la porta di fronte al romanticismo. Anzi dal 1829 fu incapace di continuare a comporre di fronte al romanticismo che avanzava. Reazionario, più che conservatore, e , dopo una giovinezza un po’ libertina, sempre più bigotto, il nostro trovò tranquillità (e poté curarsi dalla nevrosi che lo affliggeva dall’età di 37 anni) soltanto con il Secondo Impero. Poco azzeccato il titolo e difficile comprendere perché invece di dedicare una parte del concerto ad un’opera ed una all’altra, i brani delle due opere siano intercalati e si dia spazio ai “ballabili” di “Tell”- tra la musica più di maniera composta dal pescarese.
JDF è stato sgargiante. Ha interpretato più volte “La donna del lago” (al ROF in un’indimenticabile allestimento del 2001) e ha affrontato con grande bravura sia “Tu sorda ai miei lamenti” sia “Oh fiamma soave”, nonché il duetto “Le mie barbare vicende”. Accanto a lui la diciannovenne russa Julia Lzehneva ha fatto del proprio meglio Meno brillante l’Orquesta de la Comunitat Valenciana, una di quelle intraprese di Lorin Maazel- ormai tornato l’”enfant prodige” capriccioso che era a 6 anni quando genitori ed agenti lo facevano volare da una sala di concerto ad un’altra. Alcune sezioni funzionano meglio delle altre E la concertazione di Alberto Zedda? Il primo dei tre titoli operistici è “Ermione” (che andrà al Petruzzelli di Bari). Un nuovo allestimento in cui per la prima volta i due Abbado – Roberto, direttore d’orchestra, e Daniele, regista- concepiscono ed attuano uno spettacolo insieme. Si potrebbe dire che il direttore musicale Roberto Abbado ha salvato il lavoro dalla non – regia di Daniele Abbado, il quale sposta l’azione in un luogo e tempo imprecisato con un forte taglio espressionista (l’opposto esatto della “tragédie lyrique” rossiniana.. I costumi (di Carla Teti) sono improbabili (da tuniche greche a uniformi da Repubblica delle Banane). Roberto Abbado, l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna, il coro di Praga e l’elevato livello del cast hanno, tuttavia, assicurato il successo e gli applausi. Hanno svettato le due protagoniste: Sonia Ganassi , un’Ermione gelosa che tenuto benissimo un ruolo denso di trabocchetti, e Marianna Pizzolato, un’Andromaca più dolente (madre del piccolo Astaniatte, che i greci vorrebbero uccidere) che innamorata di un potente ma corrucciato Pirro. Di gran livello due dei tre tenori (Antonino Siragusa, Oreste, e Ferdinand von Bothmer, Pilade). Gregory Kunde (Pirro), alle prese con un ruolo terrificante, non ha più l’agilità di un tempo ed è in serie difficoltà quando deve scendere da tonalità alte. Kunde è complessivamente migliorato nel corso dello spettacolo ed è migliore a ciò che sembrava essere diventato due-tre anni fa. E’ ancora distante dalle doti (forse perdute per sempre) che sfoggiava alla metà degli Anni 90.
“L’equivoco stravagante” è un’operina ottenuta per procura da un Rossini 19nne con un successo sulle spalle (“La cambiale di matrimonio”) Il libretto contiene un po’ di doppi sensi ed un paio di scene avevano vaghi riferimenti sessuali. Dopo tre rappresentazioni al Teatro del Corso di Bologna, la censura papalina (molto più bigotta ed ottusa di quella austro-ungarica o di quella borbone) intervenne; si bloccò lo spettacolo; e non se ne fece più nulla sino al 2002 quando venne “riscoperto” dal ROF. Indubbiamente, meno brillante (sotto il profilo sia drammaturgico sia musicale) della precedente “Cambiale di matrimonio”, senza una regia brillante, sarebbe anche noiosa in quanto la farsetta viene stiracchiata per oltre due ore. Emilio Sagi trasporta la vicenda ai giorni nostri in un’ambientazione alla Aldòmovar. L’azione è veloce, la recitazione perfetta, le gag (spesso aggiunte) spassosse. Ovviamente molti dei riferimenti impliciti nel libretto diventato espliciti, i cantanti-attori hanno il fisico richiesto e già un gran sfoggio di belle gambe e gonne super-mini. Il testo non viene violentato, ma esaltato per rendere spassoso ciò che rischierebbe di essere barboso. E’ evidente che pure i cantanti si divertono. Bravissimi i protagonisti (Marina Prudenskaja, Bruno De Simone, Marco Vinco, Dmitri Korchak); di buon livello le due “spallle” (Amanda Forythe, Riccardo Mirabelli). Frizzante la bacchetta di Umberto Benedetti-Michelangeli alla guida dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. E’ spettacolo che merita di essere ripreso e portato in tournée da teatri non di grandi dimensioni.
Il grande successo del Festival è stato il nuovo allestimento dell’edizione “napoletana”di “Maometto Secondo”. Fu un fiasco clamoroso al San Carlo nel 1820 perché ignora gran parte delle “convenzioni” operistiche dell’inizio dell’Ottocento ed approda quasi ad una struttura wagneriana (per durata, per sinfonismo orchestrale ed per utilizzazione di temi conduttori). Ha un significato più profondo: tratto da una tragedia di Voltaire, “Maometto ossia il Fanatismo”, mette in scena la scontro tra due mondi tra cui, quali che siano i sentimenti dei singoli individui, c’è un muro invalicabile.
Michael Hampe non ha ceduto alla sin troppo facile tentazione di ambientare la vicenda ai giorni nostri. Utilizzando scene dipinte ispirate a vedutisti del Settecento e dell’Ottocento e costumi sontuosi, segue minuziosamente le indicazioni del libretto di Cesare Della Valle e cura la recitazione con grande attenzione. Hampe è agevolato da quattro cantanti – attori di grande livello nei ruoli principali: la giovanissima Marina Rebeka (una lettone appena ventenne che tiene la scena per circa tre ore con arie, duetti e terzetti difficilissimi- le si può rimproverare unicamente un’imperfetta dizione italiana), Daniela Barcellona nella parte “en travesti” del giovane comandante veneziano (ha une delle arie più difficile dell’intero repertorio rossiniano), Francesco Meli (nel ruolo del generale veneziano alla difesa di Negroponte) e Michele Pertusi (un Maometto diviso tra fanatismo bellico ed amore).
Discussa da alcuni la direzione musicale di Gustav Kuhn in quanto molto distante dalle maggiori edizioni discografiche di riferimento (affidate a Claudio Scimone) che prediligono una lettura cameristica. A mio avviso, serrando i tempi con una certa concitazione ma al tempo stesso lasciando spazio agli “a solo” di oboe e clarinetti, la concertazione di Kuhn è perfettamente in linea con la regia di Hampe. Il successo dello spettacolo è confermato dal fatto che un impresario giapponese lo porterà nei maggiori teatri nipponici in autunno. Successivamente, entrerà in repertorio a Brema il cui teatro lo co-produce .
Nel 2009, anno del trentennale, il ROF presenterà, oltre a “Sigismondo”, “Zelmira”, “Le Comte Ory” e “Tancredi”.
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