“Congiuntura” è un vocabolo che , sino alla metà degli Anni 60, non esisteva nel lessico economico italiano (od in quello anglosassone anglosassone). Lo abbiamo mutuato dai francesi, i quali , a loro volta, lo hanno recepito dai tedeschi. Non ha ancora trovato una casella nei maggiori dizionari economici in lingua inglese, come il Palgrave New Dictionary of Economics. Significa “breve periodo” o “breve termine”, che dir si voglia Poco più di due settimane fa, “Libero Mercato” aveva avvertito che la crisi “subprime”, o mutui a clienti non affidabili, (di cui in questi giorni ricorre l’anniversario della scoperta da parte dei media), era la punta di un iceberg molto più profondo: stava iniziando la crisi dei “prime” (mutui a clienti dotati di garanzie personali e reali) con inevitabili implicazioni sull’andamento delle economie reale (specialmente dei Paesi che avevano ritenuto di essere al riparo del “subprime” a ragione del radicamento prudente e conservatore dell’intermediazione finanziaria in Europa continentale in generale ed in Italia in particolare). In questi giorni, dopo i dati sulla probabile recessione nell’area dell’euro e dopo il martedì nero dei mercati azionari, “la congiuntura” è sulla prime pagine di tutti i quotidiani italiani, francesi e tedeschi. Sono state tenute riunioni straordinarie di Consigli dei Ministri (in Francia, Germania e Spagna); si stanno approntando piani di rilancio.
Molti si agitano ma pochi riflettono sulle trappole della “congiuntura”. Le principali sono due: a) la distrazione e b) l’ordine sparso. Con “distrazione”, intendo che “la congiuntura”rischia di distrarre Governi, Parlamenti e parti sociali dagli obiettivi principali di politica economica. Con “ordine sparso”, voglio dire che nell’area dell’euro solamente una strategia comune ha possibilità di riuscita; altrimenti, c’è il pericolo di neutralizzarsi a vicenda.
Si possono citare numerosi esempi di “congiunture” che hanno “distratto”, ad iniziare da quella in Italia della metà degli Anni 60 (analizzata in un bel libro di Francesco Forte) i cui l’attenzione eccessiva sul breve periodo fu una delle determinanti dell’”autunno caldo” del 1969 e degli avvenimenti che ad esso seguirono. Tra gli esempi di “ordine sparso” si pensi alle risposte dei singoli Stati alla prima crisi petrolifera nel 1974 ed alla conseguenze che causarono.
Stiamo evitando queste trappole? Pare di no. Ciascun Paese europeo sta andando ciascuno per conto proprio. La Spagna (che gode di un eccedente di bilancio) ha varato il 16 agosto un piano di rilancio di 20 miliardi di euro (gestito tramite una finanziaria pubblica con molti aspetti in comune alla nostra Cassa Depositi e Prestiti). In Germania il Governo è diviso tra chi insiste per una riduzione dell’imposta sui redditi e una fiscalizzazione degli oneri sociali e chi sostiene che è meglio aspettare e fare passare il temporale. In Francia, si nega di volere mettere a punto “un programma di rilancio specifico nazionale” ma si sono varate misure a favore delle piccole e medie imprese.
La Francia presiede, questo semestre, l’Ue; il Ministro dell’Economia e delle Finanze presenterà all’Ecofin in programma a Nizza il 12 e 13 settembre uno schema di “programma anti-congiunturale europeo”. Il giorno precedente, l’11 agosto, la Commissione Europea pubblicherà le previsioni econometriche a due anni per l’Ue. Un’occhiata pure veloce a queste misure mostra che il breve periodo fa premio sul medio e lungo. E’ probabile che il programma francese (imperniato su un’interpretazione “congiunturale” del patto di stabilità quale rivisto nel marzo 2005 e su un programma speciale d’investimenti per le infrastrutture europee) abbia le stesse caratteristiche. Potrà, quanto meno, servire a dare una cornice comune, ed auspicabilmente, regole comuni all’”ordine sparso”.
E l’Italia? La guardo con il cannocchiale – dato che scrivo questa nota dalla Francia. Sembra, però, che non si sia corsi alla preparazione di programmi anti-congiunturali nazionali, anche se forse la ragione consiste nella nostra limitatissima possibilità di manovra (a causa della situazione dei conti e del debito pubblico e delle difficoltà di avviare un costruttivo dialogo sociale).
Non punture su misure specifiche di breve periodo ha il merito di evitare la trappola “distrazione”. Da cosa? Dalle riforme essenziali perché il Paese torni a tassi di crescita adeguati. In primo luogo, il federalismo fiscale e l’ordinamento giudiziario, due misure che vanno mano nella mano: da un lato, unicamente il controllo sociale dal basso (lo provano centinaia di analisi) frena evasione ed elusione (consentendo aliquote più basse e migliori servizi); da un altro, il federalismo giudiziario – ha scritto in molti dei suoi 40 libri uno dei più noti giuristi mondiali Richard Posner – è l’antidoto alla lentocrazia giudiziaria ed alla malagiustizia in quanto i pubblici ministeri ed i giudici non sono solamente separati in termini di accesso alla professione e di carriera ma sono sottoposti di una società attiva (come sta diventando la nostra). In secondo luogo, il riassetto dello stato sociale, le cui prospettive sono state delineate nel recente “libro verde” presentato dal Ministro Maurizio Sacconi. In questo contesto specifico, occorre utilizzare l’idea (non ancora una proposta articolata nei suoi dettagli tecnico-operativi) di un “paniere” speciale per l’aggiustamento delle pensioni più basse all’andamento dei prezzi come grimaldello per rivedere e i “coefficienti d’aggiustamento” (i parametri in base ai quali il montante dei contributi versati viene “trasformato” in trattamenti previdenziali annuali) e l’intero meccanismo delle indicizzazioni tenendo presente delle esigenze del crescente gruppo di pensionati ultra-settantacinquenni. In terzo luogo, le infrastrutture – essenziali per il miglioramento complessivo della produttività dei fattori di produzione e, quindi, della produttività. In questo campo, la proposta francese – di un maggior finanziamento da parte della Bei o della Commissione Europea (anche tramite indebitamento da parte di queste istituzioni)- fa propria un’idea inizialmente italiana, formulata al di fuori di un contesto “congiunturale”: un lavoro di Oliviero Pesce e Maria Teresa Salvameni pubblicato oltre un anno fa dall’Istituto Affari Internazionali. Merita, quindi, di essere sostenuta.
E l’interpretazione del protocollo al patto di stabilità? E’ questione giuridica di lana caprina. Un semplice economista – come il vostro “chroniqueur” – non crede che, nelle condizioni attuali dell’area dell’euro, sia necessaria alcuna forzatura interpretativa.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento