“Ermione” è una “tragédie lyrique” che non ebbe affatto fortuna quando Rossini era vuvi (una sola recita al San Carlo) e poca ne ha avuta nella Rossini Renaissance (una ventina di riprese tra versione sceniche e versioni di concerto – di cui cinque in Italia) è stata, la sera del 10 agosto, l’opera di apertura del ROF 2008. Lo spettacolo è co-prodotto dal Teatro Petruzzelli di Bari dove si vedrà ed ascolterà il prossimo autunno.
Aspetto importante: per la prima volta lavorano insieme Daniele Abbado (regia) e Roberto Abbado (direzione musicale) .
In questa nota, tratto unicamente degli aspetti drammaturgici, perché commento altrove quelli musicali (di livello molto buono). Per Daniele Abbado, molto apprezzato per le versioni semi-sceniche presentate con l’Accademia di Santa Cecilia ed un po’ meno per la trilogia mozartiana del 2006 e per il recente Falstaff cagliaritano, questa “Ermione” è una grande occasione mancata. Può, però, essere recuperata (in parte) prima che arrivi a Bari (ed altrove). Tratta dalla tragedia “Andromacque” di Racine è una vicenda, intrisa di sangue, di amori contrastati, nel periodo successivo alla guerra di Troia, con una conclusione degna da grand guignol. L’inizio è una interessante sinfonia con coro (dei troiani in cattività) che la regia coglie molto bene. Facendo sperare in una buona prosecuzione dello spettacolo.
La vicenda non è in una Grecia mitica (come nell’allestimento di De Simone , Pesaro 1987, San Carlo 1988) od in quello di De Hana (Madrid, 1988, Roma 1991). Viene attualizzato. I lettori sanno che le attualizzazioni spesso mi piacciano. Sempre che siano coerenti e rispettino lo spirito del libretto e della partitura. In mondo che, nonostante la delineata “fine della storia”, è insanguino di guerre, Abbado poteva solo scegliere l’ambientazione: i Balcani, il Caucaso, il Medio Oriente od anche – perché no? – i “grandi laghi” africani. Una volta scelto il quadro, la vicenda avrebbe potuto avere coerenza e rigore.
Siamo, al contrario, in pura astrazione dove c’è un pizzico di Balcani, un po’ di generali presumibilmente sud-americani, un corteo di nozze nazista (letto da un pittore amante del grottesco). Curiosamente, tra gli improbabili costumi, spiccano immacolate tuniche della Grecia antica del coro femminile. I cantanti sono abbastanza lasciati alle loro intuizioni in materia di recitazione (fortunatamente hanno esperienza e se la cavano bene). Tuttavia, si resta perplessi : lo spettacolo è privo di ritmo. E resta un’occasione non raccolta.
Grazie al Cielo, gli aspetti musicali riscattano da una regia che lascia molto a desiderare.
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