domenica 3 agosto 2008

NO EROS, PLEAESE. WE ARE ITALIANS L'Occidentale 3 agosto

di
Giuseppe Pennisi3 Agosto 2008
Cleopatra in versione amante abbandonata
Il tema dello Sferisterio Festival 2008 è “la seduzione”, un titolo che fa pensare ad opere con un forte carattere erotico come quelle di Cavalli e Monteverdi che rispecchiavano la società lasciva della Venezia del Seicento oppure come i lavori pucciniani (in particolare “Manon Lescaut”) che, dopo un secolo circa di semi-asessuato melodramma verdiano, riportò in scena l’eros in modo prepotente e preminente. Invece, l’unico lavoro con una caratura erotica è “Carmen” di Bizet grazie alla regia di Dante Ferretti e ad un cast giovane e attraente (Nino Sugurladze, Irina Lungu, Philippe Do e Simone Albeghini), e nonostante l’incerta bacchetta di Carlo Montanaro. In “Tosca” solo Scarpia pare sapere cosa è l’eros (un po’ sadico) mentre la protagonista pare una patriota risorgimentale e il buon Mario Cavaradossi un pittore ecclesiastico a bassa dose di testosterone.
Le vere promesse erano le due prime “mondiali” o quasi: “Cleopatra” di Lauro Rossi (genius loci che operò soprattutto a Milano e a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento) e “The Servant” di Marco Tutino. La regina egiziana è sempre stata considerata una mangiatrice di uomini, esperta di tutte le arti della seduzione e di tutti i misteri dei triclini. Tratto dalla tragedia di Shakespeare, nel 1870 o giù di lì allora di repertorio in Italia, pur se in versioni molto tagliate: la Cleopatra messa in musica da Lauro Rossi non è una donna vampiro ma un’amante abbandonata che va a Roma a fare una scenata al suo Marc’Antonio in procinto di compiere un matrimonio d’interessi. Sembra di essere a Piazza Barberini, allora centro dell’alta borghesia nella nuova capitale d’Italia (od anche nella più popolare Piazza Mastai dato il tenore della scenata) pur se le scene in bianco e nero e in costumi evocano l’Egitto alessandrino e la Roma sulla via di diventare Impero. Per il buon Marco D’Arenzio (autore del libretto) e per Lauro Rossi, però, il mondo di riferimento è quello di “Come le foglie” e “Tristi amori” di Giuseppe Giocosa. Quindi pudibondo oltre che borghese.
Tutino, invece, vuole scioccare. In primo luogo, la rappresentazione si svolge in Chiesa Sesso in Chiesa nell’auditorium San Paolo (una bella Chiesa barocca con lapidi che ricordano la visita di S.S: Paolo Sesto, ora diventata aula magna dell’Università); ci sono però statue ed effigi sacre. Nel transetto centrale è allestito il soggiorno-stanza da letto (enorme il letto) di “The Servant”. Tratta dal romanzo di Robin Maugham, il cui intreccio, al tempo stesso morboso ed inquietante (per i complessi risvolti psicologici su cui è basato), l’opera di camera viene presentata con un cast d’eccezione: regìa di Gabriele Lavia, quattro cantanti di nome (Alfonso Antoniozzi, Mark Milhofer, Giuseppina Piumi, Ruth Rosique), il “quartetto di Fiesole” rafforzato da tre strumentisti. In un’ora e mezzo e nove scene (senza intervallo) assistiamo al progressivo plagio del giovane ricco, viziato e vizioso Tony da parte del cameriere Barret. E’ un plagio che avviene utilizzando il sesso delle donne di Barret ed anche del maggiordomo in persona. Nelle nove scene, ci sono sette momenti di sesso esplicito con tutte le variazioni (etero ed omo) che i limiti di un’opera da camera consentono a cantanti-attori, i quali devono anche dar sfoggio della loro vocalità e capacità di recitazione, non solo del proprio virtuosismo sessuale. In effetti, mai tanto sesso in teatro è stato così privo d’eros. L’intento di stupire è evidente. E’ stato raggiunto? Ne dubito, anche in quanto la struttura musicale non ha nulla d’innovativo ma pare scritta cinquanta anni fa.

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