martedì 26 agosto 2008

BRETTON WOODS MORI’ 35 ANNI FA MEGLIO NON RISUSCITARLA Libero 15 agosto

Il 15 agosto 1971 , gli Usa mandarono in pensione il meccanismo di cambi gestiti collegialmente noto come “sistema di Bretton Woods”. La notizia prese il mondo di sorpresa. Allora vivevo negli Usa, giovane funzionario della Banca Mondiale, ed ero in vacanza, con mia moglie e la nostra bambina di pochi mesi, in un albergo chiamato lo “Sky Chalet” nel Blue Ridge, la catena di montagne appalachiane che dal Delaweare arriva alle Carolines. La notizia ci colpì tutti: una breve e secca conferenza televisiva in cui la Casa Bianca annunciava che il tasso fisso di conversione del dollaro in oro era sospeso, i cambi avrebbero fluttuato liberamente ed un’addizionale del 10% veniva posta a ciascun dazio della tariffa doganale Usa. In Europa non venne compresa l’importanza di quanto stava accadendo: collaboravo a “Il Sole-24 Ore”, telefonai a Milano per chiedere se volevano un servizio e mi venne risposto che avrebbero preso la notizia dall’Ansa poiché la dettatura di un articolo avrebbe comportato una telefonata lunga e costosa.
Si tratterebbe di un mero “amarcord” ferragostano se un libro di successo ( Paul H. Dembinski, Università di Friburgo,”Finance servante ou finance trompeuse?” Desclée de Brouwer, Parigi) non additasse nella decisione di Richard Nixon la causa principale del marasma finanziario di questi anno, ivi compresa la crisi dei Cdo subprime). Dembinski propone una nuova versione dei meccanismi che sono stati in vigore tra il 1946 ed il 1971; la si attuerebbe ponendo un’imposizione internazionale (per finanziare il Fondo monetario o qualche istituzione ad esso analoga) sui movimenti di capitale a breve (ossia una riedizione di quella Tobin Tax, ripudiata una diecina di anni fa dal Premio Nobel James Tobin in persona).
Non credo sia il caso di fare polemiche o scenari controfattuali su “cosa sarebbe invece accaduto se…..”. A parere mio, e non solo mio, il sistema di Bretton Woods era morto da anni. La Casa Bianca ed il Tesoro Usa si comportarono da bravi becchini per dare onorevole sepoltura al meccanismo defunto. Vale,però, la pena tornare sull’argomento adesso in quanto da molte parti (in particolare dall’Eliseo, con toni che a volte vengono riecheggiati da Palazzo Chigi) si parla di una nuova Bretton Woods per tornare a cambi gestiti collegialmente. Pure la Tobin Tax fa ogni tanto capolino come spauracchio da agitare nei confronti dei “mercatisti”. E’ tutto ciò auspicabile? E’ fattibile?
Una prima risposta (che potrebbe sembrare eretica visto da dove proviene) la fornisce il servizio studi della Banca centrale europea, Bce, nell’EBC Working Paper n. 911 (ne sono autori Thierry Bracke e Michael Fidora) messo in rete proprio nei giorni precedenti questo Ferragosto 2008. I bassi premi di rischio e l’ampliamento degli squilibri delle bilance dei pagamenti che caratterizzano l’economia mondiale dalla fine degli Anni 90 – dimostra lo studio con un’accurata analisi econometrica – sono il frutto di abbondanza di liquidità (“liquidity glut”) all’origine sia degli squilibri finanziari e reali della posizione esterna degli Usa sia di un “saving glut” (eccesso di risparmi) che sta caratterizzando le economie asiatiche. Lo conferma, paradossalmente, un’analisi (rigorosamente keynesiana) di Jőrg Bibow del Bard College (Levy Economic Institute Working Paper N. 531). Il paradosso è che il mondo in via di sviluppo persegue da anni politiche di avanzo delle partite correnti delle bilance dei pagamenti destinate principalmente alla volta degli Stati Uniti. Questo quadro si contrappone nettamente a quello nel cui ambito venne creato il sistema di Bretton Woods: “dollar shortage” (ossia carenza di valute ritenute robuste), vincoli ai movimenti di capitale ed anche ai pagamenti, priorità alla liberalizzazione dei commerci (ritenuta possibile soltanto in sintonia con una graduale rimozione delle barriere valutarie).
Un’ipotesi interessante è tracciata in un lavoro di economisti del servizio studio della Deutsche Bank, di Brown University e della Università di California a Santa Cruz (Nber Working Paper N. W 13978). Saremo già in un sistema di Bretton Woods n. 2 (molto differente però da quello auspicato da Dembisnki). In tale sistema (in cui il resto del mondo finanzia la bilancia dei pagamenti Usa), tutti sarebbero felici e contenti poiché i Paesi ad alto reddito fruirebbero di tassi d’interesse bassi e i Paesi emergenti d’opportunità di crescita. Il costo di un arresto del flusso di capitale netto verso gli Usa sarebbe elevato. Per tutti. Una Tobin Tax (ammesso che sia tecnicamente fattibile escogitarla ed applicarla) potrebbe innescarlo (facendo più danni che altro) . Ma il rischio è contenuto perché tutti hanno interesse a mantenere un sistema che fornisce bassi tassi d’interesse reali (rispetto al passato) e potenziale di crescita.
Quindi, meglio non fare nulla? Non proprio. C’è una gamma di miglioramenti possibili: da un regime regionali di cambi gestiti in Asia Orientale ad un graduale riassetto del sistema dei controlli valutari in Cina. Tutti, però, nel contesto di una Bretton Woods n.2 di fatto già in vigore. Perché la lex mercatoria è più cogente dei trattati internazionali.

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