Maggio. Mese mariano. Di preci e di processioni. In questo anno di grazia 2008, maggio inizia a due settimane circa dalle elezioni. Silvio Berlusconi guarda all’ormai imminente mese di maggio con preoccupazione (e con la speranza in un miracolo). Walter Veltroni, invece, con imbarazzo (pur in quanto, da non credente, non può contare sui miracoli). Gli atteggiamenti dei due leader politici hanno origine nelle medesime cifre che, comunque vada (ossia chiunque vinca la partita elettorale od anche se si finisca in un “pareggio”), si troveranno ad affrontare: come porre riparo al primo (in ordine di tempo) problema di finanza pubblica (e di economia reale) che sarà, volenti o nolenti, all’ordine del giorno – una falla variamente stimata tra gli 8 ed i 12 miliardi di euro per restare nell’alveo del programma di rientro concordato con gli altri Stati dell’area dell’euro. Anche se le stime fossero errate del 50%, ci si troverebbe pur sempre con un “buco” di bilancio di 4-6 miliardi di euro rispetto alle previsioni di bilancio dell’autunno scorso.
Per Berlusconi, che i sondaggi danno ad oggi con un ampio margine di maggioranza di voti rispetto all’avversario, la preoccupazione è concreta: infatti sulla politica economica del resto della legislatura inciderà il modo in cui verrà risolto il problema del “buco” al suo inizio. Per Veltroni sarà comunque motivo di imbarazzo in quanto non potrà né imputare lo stato dei conti pubblici al “destino cinico e baro” di saragattiana memoria né sostenere di non avere mai avuto nulla a che fare con la triade Prodi-Paodoa-Visco. Né tanto meno attribuire le responsabilità ad un centro destra che non ha né dato indirizzo in materia di politica di bilancio né approvato, in Parlamento, le norme ora all’origine della falla. Inoltre, anche in caso di “larghe intese” o simili, si dovranno prendere decisioni spedite per motivi sia formali sia sostanziali: la normativa sulla contabilità dello Stato precisa che l’aggiustamento di bilancio debba essere effettuato entro giugno; anche ove si potesse ritardarlo, spalmare il riassetto su quattro invece che su sei mesi lo renderebbe sia più difficile sia più pesante.
Anche se i programmi dei due schieramenti non sono sufficientemente dettagliati su questo punto specifico, le medicine proposte pare siano simili e tendano a curare parallelamente il flusso di disavanzo annuale e lo stock di debito pubblico. Il secondo, indubbiamente, incide sul primo (specialmente se, come sta avvenendo in questi giorni, i tassi d’interesse puntano al rialzo). Tuttavia tanto nel breve termine quanto nel medio e lungo è bene tenere i due problemi distinti sotto il profilo concettuale.
Nell’immediato, c’è verosimilmente una sola strada percorribile: rinegoziare con l’Ue l’impegno di giungere al pareggio di bilancio (un flusso relativo all’esercizio) entro il 2010 (da riportare realisticamente al 2012) ed iniziare una serie di misure per contenere la spesa di parte corrente. Il rallentamento dell’economia internazionale (anche in seguito alle tensioni sui mercati finanziari) fornisce giustificazione per la rinegoziare gli accordi, specialmente se al Governo c’è una coalizione che si è opposta ai programmi della triade Prodi-Padoa- Visco.
Più complicata la definizione di una strategia di medio periodo. A quel che si comprende, ambedue gli schieramenti prediligono una strategia ancorata su un avanzo primario (ossia differenza tra entrate e spese al netto del servizio del debito) pari al 5% del pil (o giù di lì) allo scopo di ridurre lo stock di debito in una prospettiva a lungo termine. In saggio brillante, ma poco letto (forse perché il suo autore, Karl Farmer, è nella piccola Università di Graz e non utilizza complessi algoritmi), si sottolinea come solo relativamente pochi economisti si siano interessanti alle implicazioni sull’economia reale di una strategia di questo tipo: la riduzione del tasso di risparmio privato e della intensità di capitale con conseguenze negative sul saggio di crescita. Non è, quindi, una strategia vincente specialmente per un Governo che ha, nelle condizioni più favorevoli, una prospettiva temporale di cinque anni.
E’ necessaria, invece, una terapia d’urto mirata direttamente allo stock. Tale terapia non può articolarsi che su liberalizzazioni e privatizzazioni che comportino una riduzione del debito pubblico dal 105% all’85% del pil nei prossimi cinque anni (quindi mettendo sul mercato non solo Alitalia ed i servizi pubblici locali, ma Eni, Enel, Rai, Poste, Finmeccanica, Fincantieri e quant’altro).
Non la si potrebbe rinviare a dopo aver risolto il nodo della falla nei conti dell’esercizio di bilancio 2008? Sarebbe un errore: la soluzione del nodo di breve periodo incide su quello a medio e lungo perché l’impegno della riduzione dello stock (tramite privatizzazioni e liberalizzazioni) deve diventare parte fondante del negoziato con l’Eurogruppo sia per sincerare i nostri partner della buona fede nel ritardare il pareggio di bilancio sia per porre a noi stessi vincoli tali da impedire depistaggi in corso d’opera dalla variegata schiera di difensori di campioncini nazionali. Mese mariano, aiutaci tu. Portando giudizio.
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