Doppio “Trovatore” sui palcoscenici italiani in questi giorni: a Catania sino al 10 marzo ed a Genova dal 7 al 19 marzo. Il protagonista (Francesco Hong, un giovane tenore coreano che sta facendo una carriera folgorante in Italia ed in Germania) è lo stesso. Molto differenti gli allestimenti. Ancorato alla tradizione (e pieno di fiamme) quello, nuovo di zecca, di Roberto Laganà Manoli per il “Massimo Bellini” (con Antonio Pirolli alla guida dell’orchestra). Concepito a Los Angeles circa dieci anni fa quello di Stephen Lawless al “Caio Felice” (scene di Benoît Dugardyn, direzione musicale di Bruno Bartoletti) porta la già complicata vicenda in un contesto surreale; si basa su un gioco di pareti mobili, drammaticamente efficace ma a volte tale da disturbare il suono. La produzione di Lawless ha un suo fascino : è stata replicata più volte negli Usa, in Canada ed in Europa. Tanto l’allestimento a Catania quanto quello a Genova hanno in comune un’atmosfera buia, quasi oppressiva. Nessun regista e scenografo sembra riprende l’idea semplice e geniale dell’allestimento di Luchino Visconti, in cartellone alla Scala del 1966 al 1978: il primo quadro di ciascuno dei quattro atti si svolgeva sul boccascena in un’atmosfera notturna, ma al suo termine il secondo quadro si apriva a tutto palcoscenico in piena luce (od in una luce di tramonto nel secondo quadro del primo atto oppure di alba nel quadro finale). La musica, se ben concertata, ha queste differenze di colori.
Soffermiamoci sull’edizione di Catania non solo perché nuova di zecca ma perché, di questi tempi, la tradizione ha il sapore di novità. Il Trovatore” è opera troppo conosciuta per riassumerne il complesso intreccio di amori contrastati, infanticidi, fratricidi, guerre civili e stregoneria (vera o presunta). Pirolli è un diligente direttore d’orchestra da repertorio. La sera della prima , si sono alternate due soprano nel ruolo di Leonora: Dmitra Theodossiou, ammalata, ha evitato i passaggi più difficili ma ceduto il passo a Katia Pellegrino nella seconda parte. Si andava sul sicuro: sono ambedue veterane dell’opera così come Alexandru Agache (Conte di Luna) e Irina Makarova (Azucena).
L’attenzione era comunque puntata su Francesco Hong, che, nel giro di poche stagioni, è passato dai circuiti secondari ai maggiori teatri italiani e tedeschi. E’ un tenore lirico spinto con una bella pasta vocale, un timbro molto chiaro, un volume tale da sovrastare tutti gli altri e quasi da fare tremare i candelabri del Massimo Bellini con il prolungato “do” del finale del terzo atto, una tessitura perfetta per il ruolo, un’estensione in grado di passare dagli acuti del terzo atto alla difficile mezza-voce del quarto. Non alto di statura ed un po’ abbondante di corporatura, gli manca il physique du rôle che ci si immagina per Manrico (giovane aristocratico pur se dalla sorte costretto a fare lo zingaro ed il trovatore). Hong è ancora un pò impacciato sulla scena. Ma non lo era José Carreras quando, all’inizio degli Anni 70, debuttò in “Tosca” alla New York City Opera, avendo al suo franco la felina e super-sexy Marilyn Niska? Auguriamo a Hong di non fare errori (come tentare troppo presto “Otello” o simili) e di continuare a studiare: potrà diventare uno dei tenori verdiani di riferimento di questo primo scorcio del XXI secolo. Il pubblico catanese ha mostrato di apprezzarlo con applausi a scena aperta e richieste di bis.
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