C’è più di una ragione per dare peso al dibattito innescato in Germania degli interventi delle autorità monetarie americane dai recenti salvataggi bancari. In primo luogo, pur se formalmente tutti gli Stati dell’Ue e tutti quelli che aderiscono all’unione monetaria sono uguali, per il suo peso specifico in popolazione e pil, per il suo ruolo dell’export mondiale e per l’influenza che esercita sull’Austria, sul Benelux e su molti Paesi neo-comunitari (specialmente quelli che aspirano ad entrare nell’euro), la Repubblica Federale è, orwellianamente parlando, “più uguale degli altri”. Inoltre, senza mettersi sotto le luci della ribalta, ma utilizzando l’istituto pubblico Kfw , la mano pubblica tedesca è intervenuta ben tre volte nel corso dell’estate e dell’autunno per il salvataggio di una banca operante a livello dell’intera federazione, la Ikb, e due di singoli Länder, la Sachsen Lb e la West Lb. In terzo luogo, però, l’intervento pubblico cozza con l’ortodossia che ha caratterizzato la Bundesbank e che, su richiesta tedesca, ha plasmato la Banca centrale europea (Bce).
E’ in questo contesto che ha destato discussioni vivaci, non solo tra esperti, un editoriale della Sűddeutsche Zeitung apparso il 15 marzo in cui si invitava a “pensare l’impensabile”. In parallelo, il quotidiano economico Handelsbatt ricordava alle banche centrali (non solo a quella tedesca ed alla Bce) ed alle autorità di regolazione che “il loro compito è quello di infondere fiducia”. Pure accantonando l’ordotossia? “Da un canto ci sono i principi – scrive la Sűddeutsche Zeitung -, da un altro, le urgenze, casi eccezionali in cui l’intervento pubblico diventa indispensabile”.
Solo editoriali di quotidiani, per quanto autorevoli, oppure un più vasto ripensamento? La stampa grida troppo, affermano al centro di ricerca economica Iw di Colonia. Ciò non contribuisce a risolvere i problemi ma anzi semina il panico, incalzano all’istituto Rwi di Essen. Toni differenti all’istituto di studi economici di Berlino, Diw, di impronta keynesiana e neostrutturalista. Uno dei suoi esperti di vaglia, Alfred Steinherr, sottolinea che la crisi subprime è la punta di un iceberg molto più vasto e profondo: le disfunzioni nel sistema di governance del sistema bancario internazionale che né le banche medesime ne il Fondo monetario né la Banca dei regolamenti internazionali sono riuscite ad assicurare.
A Francoforte, cuore finanziario della Repubblica Federale, si mostra il saggio di apertura di una rivista scientifica datata febbraio 2008 (in effetti in distribuzione) l’ Icfai Journal of Monetary Economics : in 25 dense pagine, sue economisti di rango, uno indiano Rangan Gupta ed uno di nazionalità sud-africana, Andreas Karapakatis, si chiedono se la liberalizzazione finanziaria sia un mito od una “cura miracolosa” – anzi talmente miracolosa da funzionare bene nel Paese delle Meraviglie. Un lavoro, ancora inedito (ma in circolazione tra gli amici dell’autore), di Christoph Memmel del servizio studi della Bundesbank giunge a conclusioni analoghe tramite un percorso più tecnico: l’analisi di 260 episodi di mutamenti della “curva dei rendimenti” (il divario tra rendimenti a breve e rendimenti a lungo termine) sulle casse di risparmio e sulle banche di credito cooperativo della Repubblica Federale: gli sbalzi (quali quelli di questi mesi) comportano lacrime e sangue che possono mettere a repentaglio il sistema.
Non bastano le paratie dell’Ue ed in particolare dell’unione monetaria? Sono più deboli di quel che non si pensi – sostiene un lavoro interno del Fondo Monetario , lo IMF Working Paper No. 07/260 in cui si auspica l’adozione di benchmark specifici per “valutare l’abilità delle istituzioni europee ad allocare risorse in modo efficiente contro minacce sistemiche alla stabilità finanziarie, quali l’insolvenza di una banca pan –europea”. E’ una tesi che sposa in pieno Peter Bofinger – uno dei cinque consiglieri economici del Governo federale: l’Europa deve rimettere presto la propria casa in ordine al fine – ed è questa la parte più innovativa – di poter organizzare un’azione concertata della comunità internazionale nei confronti della perdita di valore internazionale del dollaro.
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