Nel 2008 non c’è alcuna ricorrenza per Richard Strauss, il compositore della Baviera (1864 – 1949) che più di altri seppe impregnare il teatro in musica della prima metà del Novecento. Sempre in cartellone nei programmi delle maggiori formazioni di concerto (specialmente i suoi notissimi poemi sinfonici) sono state più rare le sue apparizioni in teatri lirici. Tre le ragioni. Una a carattere politico: su Strauss, per quanto completamente scagionato, ha gravato per anni la maledizione di essere stato Presidente della federazione dei musicisti del Reich , carica, peraltro, che gli consentì di fare scappare in tempo colleghi ebrei e di farne tirare fuori alcuni proprio dai campi di concentramento: curioso che questa maledizione venisse proprio da coloro che nelle riunioni del Pci e simili facevano suonare inni composti dal musicista di corte di Hitler , Carl Orff, per le adunate dei giovani nazisti a Norimberga. La seconda è a carattere teatrale: i lavori di Strauss comportano una stretta integrazione tra parola e musica – quindi, sono quasi incomprensibili nelle “traduzioni ritmiche” approntate quando nei teatri della Penisola anche Wagner ed i russi venivano cantati in italiano. La terza è il grande organico orchestrale richiesto da quasi tutti i suoi lavori – eccezioni significative “Ariadne auf Naxos” e “Capriccio” – ed una scrittura complessa: per lavori che non hanno molte repliche si tratta di un ostacolo per i costi delle prove.
Il 2007 si è chiuso con la pubblicazione di un saggio fondamentale su Strauss del musicologo Mario Bortolotto; se ne sta progettando la traduzione in varie lingue. Nel 2008 nelle buche d’orchestra di molti teatri italiani risuonano le note di Richard Strauss. A Genova è stato ripresa, con successo, l’edizione de “Il cavaliere della rosa” di una dozzina di anni fa, vista anche a Palermo nel 1998 ed alla Scala nel 2003. A Torino è andato in scena un nuovo allestimento di “Salome” (con la regia di Robert Carsen e la bacchetta di Gianandrea Noseda) mentre l’opera di Belgrado ne porta una propria produzione a Ravenna, Rovigo ed altri teatri “di tradizione”. La lussuriosa principessa è anche in programma allo Sferisterio di Macerata. Una discussa edizione del lavoro (con regia di Giorgio Albertazzi) – si ricorderà – ha inaugurato la stagione 2007 del Teatro dell’Opera di Roma. Quasi in contemporanea, nell’arco di un mese, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e La Fenice di Venezia mettono in scena due allestimenti importanti di “Elektra”. Infine, “Il cavaliere della rosa” (considerata, a ragione, come la più importante commedia in musica del Novecento) approda in autunno a Roma; manca della capitale da oltre 60 anni- se ne ricorda un’edizione per alcune sere soltanto, importata da Monaco di Baviera quando eravamo alleati con i tedeschi. Quindi il 2008 è una larga intesa teatrale a favore di Richard Strauss.
Buono , soprattutto grazie alla bacchetta di Fabio Luisi, “Il cavaliere” ripreso a Genova in un’edizione scenica garbata di Pier Luigi Pizzi. Al Regio di Torino, “Salomé” non si toglie i veli ma sette anziani guardoni restano nudi; di impianto tradizionale la produzione serba. “Elektra” è il primo dei sette capolavori del binomio Richard Strauss- Hugo von Hofmannsthal; nel capoluogo toscano la messainscena vede una nuova coproduzione di Robert Carsen (con il Teatro Nomori di Tokio) ed a Venezia sale sul palco quella di Klaus Michael Gruber che inaugurò nel dicembre 2003 la stagione del San Carlo.
Il fascino di “Elektra” è nel prodigio di complementarità e di contrasto tra il testo di Hofmannsthal e la partitura di Strauss; circolare il primo (con il proprio epicentro nel confronto-scontro tra Elektra e Klytämnestra); vettoriale il secondo sino all’orgia sonora in do maggiore del finale. L’edizione fiorentina (su cui ci soffermiamo data l’importanza dell’allestimento e della direzione musicale di Seji Ozawa) mostra come sia l’azione sia la musica abbiano una struttura ad ellisse; un’introduzione quasi contrappuntistica (il dialogo delle ancelle per preparare al monologo di Elektra) si snoda in una vasta parte centrale in cui il confronto tra Elektra e Klytämnestra (colmo di disperazione) è inserito tra due altri confronti – quelli tra Elektra e Chrysothemis (rispettivamente sul significato della vita e sul valore della vendetta); in tutta questa parte centrale si sovrappongono due tonalità musicali molto differenti per unificarsi dalla scena del ritorno di Orest e del duplice assassinio e predisporre, quindi, il do maggiore della danza macabra finale. La Reggia dei Atridi a Micene è composta di tre mura grigie che racchiudono il palcoscenico. In questo clima tra il claustrofobico e l’ossessivo, Elektra, Christothemis , lo loro ancelle sono in scarne tuniche nere, Orest ed il suo precettore in grigio, Klytämnestra e Augestih in bianco (le scene di Michael Levine, costumi di Vasul Matuz, luci di Peter van Praet). La tragedia si svolge serrata tanto più che Ozawa legge la partitura dandole una concezione lirica, soffermandosi sulle sofferenza dei personaggi e facendo esprimere dall’orchestra un fasto di colori , ascoltato solo in recenti esecuzioni di Abbado. Tutte di gran livello di voci. Notissime nel ruolo Agnes Balsta ( Klytämnestra) e Susan Bullock (Elektra), la vera scoperta, per il pubblico italiano, è la straordinaria Chrysothemis di Christine Goerke.
Mauro Bortolotto La Serpe in Seno – Sulla musica di Richard Strauss Adelphi Edizioni pp. 344 € 40
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