domenica 16 marzo 2008

PUCCINI E LA SCALA, L’ENNESIMO FLOP da Il Domenicale 16 marzo

Giacomo Puccini avrebbe preferito Roma o Milano (oltre ovviamente a Torre del Lago) come sede principale per le celebrazioni della ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita? Alcuni mesi fa, il “Dom” ha dedicato un ampio servizio ai programmi per la ricorrenza. Ci sono stati alcuni cambiamenti. Ad esempio, per ragioni di budget, il Massimo Bellini di Catania ha rinunciato ad inaugurare la stagione con “Edgard” (coprodotto con Torino e Bologa) ed ha ripreso la produzione di “Madama Butterfly” firmata da Roberto Laganà Manoli. Nella capitale, l’Orchestra sinfonica di Roma ha presentato un’edizione scenica di “Bohème” con un cast di rilievo (Armiliato – Dessì) a prezzi ultrapopolari. Il Teatro dell’Opera ha, invece, inaugurato la stagione volutamente pucciniana con “Tosca” (regia di Zeffirelli) il 14 gennaio; una seconda tornata di repliche termina il 27 aprile. La serata inaugurale è stata interrotta più volte da applausi a scena aperta e richieste di bis (di cui uno, la romanza “E lucevan le stelle”, accordato), nonché seguita da oltre un quarto d’ora di ovazioni quando è calato il sipario. Nella capitale viene, poi, importato da Los Angeles un allestimento di Giancarlo Del Monaco, di “La Fanciulla del West” ed è in programma “Madama Butterfly” nella messa in scena di Renzo Giaccheri e Hai Yamanouchi. Tra le iniziative a latere, sempre a Roma, “Tosca” della Piccola Lirica al Teatro Flaiano in programma per diversi mesi dell’anno: ridotta a 90 minuti con un solo intervallo, semplificata la strumentazione per pochi orchestrali e live electronics, attualizzato l’allestimento.
A Milano si era parlato di pensionamento a Milano dell’allestimento de “La Bohème” firmato circa 45 anni fa da Franco Zeffirelli ma lo si vedrà ancora in luglio con un cast pensato per attirare pubblico straniero (la bacchetta è affidata a Gustavo Dudamel). E’ in scena sino al 2 aprile una nuova produzione de “Il Trittico”, che mancava dal 1983; andrà al Teatro Real di Madrid, che lo ha co-prodotto. Non si sono fatte economie: per il lavoro (che richiede un vasto organico, circa 40 solisti, ed un coro di voci bianche) è stato ingaggiato Luca Ronconi con la sua squadra favorita per scene e costumi, è stato invitato Riccardo Chailly per guidare l’orchestra e si sono scritturate le migliori voci su piazza. E’ l’omaggio principale della Scala alla ricorrenza. Puccini ebbe a Milano la formazione musicale ma anche delusioni e tasche spesso vuote. I suoi successi vennero al Regio di Torino, al Teatro Reale di Roma ed al Metropolitan di New York non alla Scala– dove la prima di “Madama Butterfly” fu un fiasco ed “Il Trttico” venne accolto con freddezza. In breve, il tempio lirico del Piemarini lo applaudì (soprattutto grazie a Toscanini) dopo che era andato nell’aldilà.
Uno dei maggiori studiosi di Puccini (Julian Budden, un britannico flemmatico distinto e distante dalle nostre beghe) ricorda come si iscrisse al Partito Fascista subito dopo la marcia su Roma non tanto per convinzione politica ma per amore dell’ordine. Nonché per un disegno più ampio: convincere Mussolini , con cui ebbe un lungo colloquio nel 1923, a realizzare due progetti: una stagione d’opera italiana al Covent Garden e la creazione a Roma di quello che sarebbe dovuto essere il Teatro Lirico Nazionale. Mussolini rispose che non c’erano soldi. In effetti, il Capo del Governo aveva un’altra idea che realizzò con la normativa del 1936 (oggi ancora attualissima): 12 principali enti lirici, di cui dieci dedicati al repertorio (ma con l’obbligo di una novità l’anno, meglio se di autore italiano), uno alle riscoperte (Firenze) ed uno alla contemporaneità (Venezia). Attraente l’avanguardia in un’architettura rococò (come quella de La Fenice) e le riscoperte nell’ottocentesco La Pergola e nel razionalista Comunale. Il Teatro Reale dell’Opera avrebbe dato la priorità al repertorio – con una “prima” mondiale l’anno. La Roma dei “generoni” .- il figlio del fabbro lo sapeva – non era per festival colti.
Roma era, però, nel cuore di Puccini. E Puccini nel cuore di Roma, come indicato dal tutto esaurito per le 15 repliche della “Tosca”. L’allestimento di Franco Zeffirelli ricalca quello che per oltre tre lustri, si replica, con successo, al Metropolitan: una visione colossal di una Roma, al tempo stesso, barocca, sensuale e perversa, con una ricostruzione dettagliata dei luoghi dei tre atti (Santa Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo). E’ fedele, minuziosamente, al libretto ed accattivante per il pubblico. Curatissima la recitazione. Ha debuttato nel ruolo Martina Serafin, soprano austriaco famosa per le sue interpretazioni di Strauss e Wagner. Costruisce una Tosca molto simile a quella che Zeffirelli diresse a Londra nel 1964 con Maria Callas (pure in quanto i costumi si assomigliano). Marcelo Àlvarez è un Cavaradossi generoso, con un timbro chiaro, una gestione accurata del registro di mezzo e la capacità di tenere a lungo i “do”. Sotto il profilo orchestrale, l’aspetto più importante è la capacità di Gelmetti e dell’orchestra nello scavare nella scrittura musicale.
Niente affatto lusinghieri, invece, gli esiti de “Il Trittico” scaligero. Il lavoro comprende tre atti unici complementari e contrastanti: “Il Tabarro”, un grand-guignol di passione, sesso, e sangue nel proletariato parigino all’inizio del Novecento; “Suor Angelica”, tragedia di maternità occultata in un convento alla fine del Seicento; e “Gianni Schicchi”, farsa nella Firenze del 1299. E’ un poema sinfonico in tre movimenti; un “agitato” (“Tabarro”), un “largo” (“Suor Angelica”) e uno “scherzo” (“Gianni Schicchi”) . Nel primo e nel terzo atto, si avvertono echi di tango e di valzer, di slow-fox e di jazz cabarettistico; nel secondo, il gran sinfonismo post-wagneriano e l’atonale.
Nonostante La Scala disponga di uno dei palcoscenici più moderni al mondo, Ronconi ha optato per un impianto unico da un grande squarcio da cui trapelano qualche cenno a Parigi, una statua della Madonna, litografie di Firenze, l’immagine di Dante. In “Suor Angelica”, infine, l’intero palcoscenico è occupato da una scultura sdraiata di donna (un’altra Madonna? La femminilità ferita?). Nessun riferimento al visivo dell’epoca, nonostante i rossi tramonti di Monet dovrebbero accompagnare “Il Tabarro”, l’azzurro dei cieli dei macchiaioli “Suor Angelica” ed i preaffaelliti (visti con ironia) “Gianni Schicchi”. Didascalica la recitazione , nel senso di basata sulle didascalie di Giovacchino Forzano per le prime rappresentazioni (nel 1918 a New York e 1919 a Roma, il 1922 alla Scala), tranne che in “Suor Angelica” a ragione dell’ingombrante scultura. Uno spettacolo da dimenticare (nonostante il buon versante musicale) se possibile, da correggere prima di esportarlo. Questa volta la Scala ha davvero “bucato”.
.

Nessun commento: