Su Il Tempo del 19 marzo si è sottolineato come la soluzione all’attuale crisi dei mercati internazionali sia in primo luogo a Washington, poiché, iniziata negli Stati Uniti, necessita risposte politiche che unicamente le autorità Usa possono dare. Alcune risposte sono nell’area di competenza della Casa Bianca, altre in quella del Congresso, altre ancora in quelle dei singoli Stati dell’Unione (la cui normativa varia enormemente da Stato a Stato). Soffermiamoci su quelle di competenza del Governo federale. Un sistema presidenziale, poi, è nettamente differente da uno parlamentare- nel primo, ad esempio, il bilancio nasce dal Congresso non da una proposta dell’Esecutivo (come la nostra finanziaria).
Ho vissuto oltre tre lustri a Washington. Ho avuto modo di scambiare idee “off-the-record” con alti funzionari del Tesoro (anonimi a ragione delle regole della funzione pubblica Usa) e “for background briefing” (non virgolettabili) con due economisti, uno giovane (Robert Shiller) ed uno Premio Nobel anziano (Paul Samuelson), di scuole marcatamente differenti.
Nell’ambito delle competenze della Casa Bianca il primo segnale sarebbe una rivalutazione dell’Office of Comptroller of the Currency (OCC) – la direzione generale del Tesoro incaricata di autorizzare e regolamentare le banche nazionali e di vigilarne sull’operato, nonché di coordinare la altre authorities responsabili per la tutela del risparmio. Di questa figura chiave (che opera in grande discrezione) si parla poco. Ha l’onere del riassetto della regolazione e della vigilanza al fine di rompere uno dei cerchi viziosi (il pullulare di Siv e dei loro strumenti arcani). Altro segnale importante sarebbe un maggiore attivismo dell’Esecutivo (contro le corporazioni) per l’applicazione degli standard contabili internazionali (quelli definiti dall’IASB) invece delle “best accounting practices” americane: si guadagnerebbe in trasparenza e reciderebbe il cerchio dell’impacchettamente del loglio con il grano.
Il punto più difficile spetta al Congresso: spezzare la spirale discendente dei valori immobiliari. Si possono varare ritocchi al codice tributario federale. Oggi il costo dell’interesse sui mutui è deducibile dall’imposta sul reddito; parte potrebbe diventare detraibile, premiando comportamenti attendisti (di chi si tiene la casa, pur pagando un mutuo altissimo, nella convinzione che il guadagno è di lungo periodo). Tale misura interesserebbe principalmente le famiglie a reddito medio-alto; sarebbe quindi regressiva. Si potrebbero incentivare (con la leva tributaria) associazioni di proprietari che siano responsabili in solido del rimborso. L’ultimo rimedio sarebbe l’istituzione di una Home Owners Loan Corporation (o banca federale pubblica per l’edilizia) analoga alla Reconstruction Finance Corporation degli Anni 30: incaricata di rifinanziare investimenti immobiliari ad alto rischio (pur con la certezza che alcuni finiranno in perdita secca).
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