giovedì 6 marzo 2008

Veltroni vuole l'Alitalia italiana ma anche no da L'Occidentale del 4 marzo

Come era da attendersi, i temi dell’italianità di Alitalia e del futuro di Malpensa stanno entrando nella fase finale della campagna elettorale. Questa mattina molti giornali hanno riportato, in modo distorto, le dichiarazioni del leader del PdL attribuendogli una chiusura preconcetta nei confronti di Air France-Klm. A questa interpretazione si è agganciata, quindi, la replica del leader del Pd, il quale non ha tenuto conto delle posizioni espresse dai suoi stessi consiglieri a proposito tanto dell'Alitalia quanto di Malpensa.
Per Veltroni le parole del Cavaliere sono state "affrettate e non ponderate", anche se poi parlando della questione ha usato, in parte gli stessi termini di Berlusconi, dicendo che "un grande paese come l’Italia dovrebbe avere una propria compagnia nazionale".
Si tratta di argomenti delicati che devono essere trattati sotto differenti aspetti:
a) il significato del concetto di “italianità”;
b) la situazione finanziaria di Alitalia e di coloro che se la contendono;
c) il negoziato in esclusiva tra Alitalia da un lato, e AirFrance-Klm dall’altro;
d) il ruolo inizialmente concepito per Malpensa e l’evoluzione del trasporto aereo e degli scali del Nord d’Italia.
Questi temi si stagliano su un fondale: la sgangherata (per utilizzare un termine elegante) procedura con cui dal dicembre 2006 il Governo Prodi ha tentato di denazionalizzare Alitalia e farla diventare la madre di tutte le privatizzazioni.
Andiamo con ordine. In primo luogo, il concetto stesso di “italianità” di una s.p.a. può assumere varie guisa , tutte legittime. Ad un estremo, può vuole dire mantenere il marchio. Ad un altro, la totalità del capitale azionario. Né l’uno né l’altro estremo è realistico. Se si entra in una multinazionale del settore (ossia se il negoziato con AirFrance-Klm va a buon fine), si potrebbe considerare raggiunto l’obiettivo, oltre che con il mantenimento del marchio, con uno scambio di azioni e con una rappresentanza adeguata nel CdA della casamadre, oltre che con il controllo della affiliata italiana (l’Alitalia per l’appunto) del gruppo.
In secondo luogo, come in tutte le trattative, il margine negoziale dipende dai rapporti di potere tra i negoziatori, che, a sua volta, rispecchia, in gran misura, la situazione finanziaria rispettiva. Lunedì il CdA di AirFrance-Klm si esprimerà su quanto ha riscontrato in Alitalia dove il quadro dei libri contabili si intreccia, inevitabilmente, con complicate vertenze sindacali sul numero degli esuberi e sul destino delle società di servizio affiliate a quella che è ancora la nostra compagnia di bandiera. E’ possibile che AirFrance-Klm getti la spugna. E che la trattativa, quindi, finisca in un buco nell’acqua. C’è da augurarselo? Secondo il management di Alitalia, se non arriva cassa fresca, tramite un aumento di capitale, in giugno si dichiara l’insolvenza e si portano i libri in tribunale per iniziare una procedura fallimentare.
Potrebbe APHolding sostituire AirFrance-Klm? In caso di naufragio della trattativa in corso non ci sarebbero – credo – ostacoli giuridici. Tuttavia, in questi ultimi mesi il maggior quotidiano economico italiano ha più volte pubblicato dati non affatto confortanti sulla situazione finanziaria ed industriale di AirOne, la s.p.a aeronautica al cuore di APHolding. Tesi analoghe sono state sostenute dai massimi esponenti di Lufthansa, la capo gruppo di Star Alliance di cui AirOne fa parte. Ci sono state puntualizzazioni non firmate da parte di alcuni organi di stampa ma non è mai venuta una smentita ufficiale, accompagnata (come si sarebbe potuto pensare) da qualche azione nei confronti delle informazioni pubblicate, la cui fonti, secondo il quotidiano in questione, sarebbero i dati ufficiali di bilancio e la statistiche anch’esse ufficiali sul carico degli aerei. Quindi, c’è da pensare che, senza altri partner (finanziari ed industriali), APHolding non sia in grado di fare fronte ad un “long farewell” di AirFrance-Klm a Alitalia. Giugno è molto vicino ed i Buoni Samaritani, di questi tempi, sono merce rara.
In questo contesto, si pone il ruolo di Malpensa. Due consiglieri economici del leader del Pd Walter Veltroni (con l’articolo “Malpensa: limiti e misfatti” su www.lavoce.info) hanno già ipotizzato un ridimensionamento dell’infrastruttura nell’ipotesi in cui il regime di open skies non si allarghi rapidamente dai voli transatlantici (per i quali i cieli si apriranno a fine marzo) a quelli verso l'Asia e verso l'Africa. Verosimilmente, l’aeroporto di Malpensa e gli scali nel Nord Italia non sono stati programmati sulla base delle analisi economiche e finanziarie che sarebbero state necessarie per investimenti di tali dimensioni: i pertinenti studi di fattibilità non sono stati mai divulgati, mentre chiunque può constatare lo spessore delle analisi condotte, più o meno nello stesso periodo, per il terzo aeroporto di Londra ( in vendita presso lo H.M. Stationery Office – l’equivalente del nostro Poligrafico dello Stato).
Malpensa era stata, comunque, concepita come “hub” prima che il “point-to-point” e l’avvento dello “low cost” rivoluzionassero il traffico aereo. L’impianto, però, esiste e si sta cercando di migliorarne il funzionamento, Sarebbe un errore trattarlo, contabilmente, come un “sunk cost” (costo da accantonarsi in quanto ormai sprofondato nel passato). E’ verosimile che, quale che sia l’esito delle trattative, venga definito un periodo di transizione da utilizzare non solo per individuare nuovi vettori ma pure per condurre una nuova analisi economica di tutti gli aeroporti dell’area. Un esempio eloquente è la riorganizzazione degli aeroporti del Nord Europa effettuata sulla base di uno studio pionieristico condotto dall’Università di Rotterdam ed i cui esiti principali sono stati pubblicati sul periodico “Financial Management” (Han T.J. Smit “Infrastructure Investment as a Real Options Game: the case of European Airport Exapansion”). Una lezione importante è che utilizzando la strumentazione derivante dalla teoria delle opzioni reali si giunge a quantizzare aspetti non facilmente apparenti in un’analisi costi benefici tradizionale, quale il valore della “opzione di flessibilità” in caso di congestione del traffico negli altri scali. Soprattutto, nell’analisi degli aeroporti nel Nord Europa, la valutazione economica ha permesso di vedere come quelli meno vincolati da regolazioni pubbliche sulla loro crescita e da trattamenti preferenziali per quelle un tempo chiamate “compagnie di bandiera” sono quelli che meglio riescono ad esercitare le opzioni di crescita disponibili nel settore.
In Italia si è in grado di condurre studi analoghi. Nella XIV legislatura, ad esempio, sono state condotte le analisi con opzione reali della transizione da televisione analogica e digitale terrestre (le cui conclusioni sono state recepite dal Governo dell’epoca ed i cui punti salienti sono riassunti nel volume Bezzi et altri “Valutazione in Azione”, F.Angeli) e quella del sistema di trasporti della Basilicata (disponibile presso il Ministero dello Sviluppo Economico). Vengono anche presentate, su questi temi, tesi di laurea magistrale in economia ed ingegneria di trasporti: ad esempio, appena una settimana fa ne è stata discussa una (con un forte contenuto empirico) alla Facoltà di Ingegneria dell’Università de L’Aquila. La strumentazione esiste. Dunque, utilizziamola.

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